” Quiv’era l’Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte “
( Dante, Purgatorio VI, vv. 13 – 14 )
Tra i personaggi vissuti in epoca medioevale, Ghino di Tacco si può inserire tra quelli che vantano una delle personalità più controverse. Vissuto presumibilmente a cavallo tra il XII e il XIV secolo, la sua nobile famiglia trovava dimora a La Fratta, facente parte del comune di Torrita ( oggi nel comune di Sinalunga ), ove iniziano le disgraziate vicende che vedono protagonisti lui e gli uomini della sua famiglia: il padre – Conte Tacco di Ugolino, il fratello Turino e l’omonimo zio. Sembra che la compagine di gentiluomini fosse particolarmente dedita ai furti e alle malefatte, tanto da suscitare l’indignazione della Repubblica di Siena, la quale non esitò a dare la caccia alla Banda dei Quattro. Tuttavia, essendo rampolli della famiglia Cacciaconti – Pecorai, la quale dominava su buona parte dei castelli presenti nel territorio di Asinalonga ( Sinalunga ), venne garantita una sorta di impunità da parte del governo Senese, fin quando essi non dettero fuoco al castello di Torrita, nella cui battaglia, venne gravemente ferito tale Jacopino da Guardavalle.
In seguito al reato, il governo Senese riuscì a catturare il padre, il fratello e lo zio di Ghino, il quale fu risparmiato grazie alla sua giovinezza, poiché ancora non aveva raggiunto la maggiore età necessaria per essere imprigionato, sorte che toccò al resto della famiglia e che si protrasse per oltre un anno, fatto di lunghe torture e sevizie, fin quando il rinomato giudice Benincasa da Laterina non decise di condannarli a morte. I tre furono messi al rogo in Piazza del Campo e lui, il vile giudice Benincasa di Arezzo, fu nominato senatore presso la corte dello Stato Pontificio, a Roma.
Ecco, negli anni che seguono, si nota finalmente quanto Ghino si possa definire un ” gentil brigante “. Tornò a risollevare le attività di famiglia qualche anno dopo, stanziandosi a Radicofani, dalla cui rocca, infieriva sui viandanti che percorrevano la Francigena. Si dice, però, che l’animo di Ghino fosse tanto fiero quanto gentile: egli riservava trattamenti speciali a quelli che si ritrovavano ad esser da lui derubati, venivano infatti lasciati con una giusta parte dei loro averi, sufficiente a viver con dignità e a proseguire nel loro pellegrinaggio. In più, la cronaca ci narra di un coraggioso guerriero, un Signore della propria Rocca che mai infierì di spada su quelli da lui saccheggiati, anzi, qualcuno racconta di veri e propri banchetti offerti dal bandito in persona. Di ciò che riusciva ad ottenere, sembra che Ghino ne distribuisse parte ai meno abbienti, ai poveri che albergavano in quelle terre della provincia Senese e che, in un modo o nell’altro, riscattarono la figura malandrina del personaggio.
Tra i sentimenti che ne muovevano le gesta, inoltre, è da aggiungere l’onore, quello stesso che portò Ghino di Tacco ad avanzare su Roma al comando di quattrocento uomini, volendo vendicare i parenti uccisi dal giudice Benincasa che – forse ormai dimentico del fatto – non si aspettò di veder entrare nel tribunale del Campidoglio l’orda barbarica guidata da Ghino, colui che poi gli tagliò la testa a fil di spada e la impalò sulla picca che poi riportò alla Rocca, ove questa rimase esposta per molto tempo.
Di questo inusuale brigante, volle addirittura parlare Boccaccio, dedicandogli un’intera novella del Decameron, in cui descrive il ratto dell’ Abate di Cluny che decise di curare il proprio mal di stomaco alle terme di San Casciano dei Bagni. Venuto a conoscenza dell’arrivo del ricco Abate, Ghino non esitò a rapirlo, rinchiudendolo nella Rocca e provvedendo al suo nutrimento con pane, fave e vernaccia. Strano a dirsi, ma il mal di stomaco dell’eclesiastico scomparve proprio grazie a questa dieta ed eglio, ritrovandosi a dover esser grato al suo rapitore, chiese per lui il perdono dal Papa, riuscendo a farlo ben volere anche a Siena.
Sugli ultimi giorni di Ghino di Tacco, vi sono informazioni confuse: alcuni dicono che sia morto a Roma, altri raccontano di un uomo che ha terminato la sua vita nella redenzione, facendo del bene agli altri e finendo assassinato ad Asinalunga. Tra gli ultimo, troviamo Benvenuto da Imola, che descrive il personaggio come un uomo molto più retto di quello che le carte di molti hanno riportato, uno spirito mirabile, vigoroso e orgoglioso.
Arianna Falchi