Intervista a Francesco Magnelli, anima musicale del progetto “La Rubia canta la Negra”, che vede Ginevra di Marco reinterpretare le canzoni di Mercedes Sosa
Alla sua morte nel 2009 tutto il Sudamerica manifestò il proprio dolore. Due esempi: il Perù proclamò il lutto nazionale, il Brasile inviò un suo rappresentante ufficiale ai funerali. Eppure lei era argentina. Mercedes Sosa, però, pur amando visceralmente la propria terra, come solo le persone che hanno vissuto in esilio possono fare, nel tempo riuscì a diventare, con la sua voce, il simbolo di tutta quell’America latina che stava passando sotto le dittature militari.
La sua figura è ora al centro del progetto “La Rubia canta la Negra”, uno spettacolo e un cd che vedono Ginevra di Marco reinterpretare alcuni brani storici della cantante argentina. L’artista fiorentina, Francesco Magnelli e Andrea Salvadori, stasera saranno nel Cortile del Rettorato dell’Università degli Studi di Siena per presentare a EstatinSiena questa nuova avventura musicale.
Per l’occasione abbiamo parlato con Magnelli, anima musicale di “La Rubia canta la Negra”.
Come nasce questo progetto?
«Nasce, come molti degli ultimi lavori che stiamo facendo con Ginevra, da uno spettacolo. Nel settembre del 2015, ci arrivò una proposta dal festival Musica dei Popoli di Firenze per mettere su una cosa nuova. Dato che la moglie del direttore artistico di quella rassegna aveva sentito in un concerto al Teatro Romano di Fiesole la versione di Ginevra di Gracias a la vida cantata in un concerto al Teatro Romano di Fiesole, ci proposero di fare uno spettacolo su Mercedes Sosa».
E dallo spettacolo è venuto fuori un disco…
«Da quel lavoro per il festival Musica dei Popoli, è nata una serie di spettacoli portati a giro nel 2016. Concluso il tour, abbiamo deciso poi di farne un disco».
L’album, fra l’altro, è stato finanziato in una maniera particolare, tramite il crowdfunding…
«Sì, è stato finanziato tramite una piattaforma di crowdfunding emiliana che aveva già lavorato con i Gang e con Cisco. Avevamo avuto una proposta anche da Musicraiser, ma alla fine abbiamo optato per BeCrowdy, una piattaforma non limitata alla musica. La cifra che abbiamo tirato su per questo lavoro, sarebbe stata impensabile per una casa discografica.
Noi, nel tempo e con progetti come Stazioni Lunari , ci siamo costruiti una base di persone che ci seguono e ci supportano».
Mi scusi il gioco di parole, ma come si reinterpreta un’interprete, visto che Mercedes Sosa non cantava canzoni proprie?
«Siamo partiti dalle reinterpretazioni della cantante argentina. Vista la differenza tra le voci di Mercedes Sosa e di Ginevra, è stato interessante capire se potevamo “reggere” certe canzoni e certi loro significati. Abbiamo elaborato poi riarrangiato i brani, cercando di adattarli al nostro stile, più “sporco” rispetto a quello folk».
La vicenda di Mercedes Sosa è molto particolare e non può prescindere dal suo esilio fuori dall’Argentina. Come affronterete il tema?
«Tante persone, proprio per quello, ci hanno detto “chi ve lo fa fare?”. C’è una certa difficoltà ad affrontare cose che non siano superficiali. Mercedes Sosa ha una storia molto profonda e dolorosa. La nostra è una testimonianza di quelle persone che vivono la musica veramente, che la legano a doppio filo alla propria vita. Mercedes Sosa ha fatto delle scelte, anche musicali, ben precise.
Cosa, secondo voi, dovrebbe arrivare al pubblico delle vicende artistiche e di vita di Mercedes Sosa?
«Noi vorremmo che la gente riscoprisse la sua figura, perché Mercedes non è stata solo l’esilio, è stata molte cose. Ha fatto parte anche di un gruppo di artisti interessato alla salvaguardia ambientale del Pianeta. Poi ci sono le canzoni e il loro significato profondo. Basta solo un esempio: “Todo cambia”.
Cosa vi ha affascinato di queste canzoni di musica popolare?
«In un momento nel quale la “plastica” regna sovrana, la musica popolare ha un’attitudine molto vera. Non mi piace, d’altro canto, lo stilema del folk, per questo non suoniamo tamburelli, flauti, fisarmoniche e quant’altro. Della musica popolare, come del punk, mi piace l’attitudine. C’è qualcosa di animalesco alla base.
Oltre a questo, c’è la curiosità di esplorare una musica, quella sudamericana, che non avevamo mai suonato. I compositori dei brani che suoniamo sono di grandissimo spessore, sia nei testi che nella musica».
La serata al Rettorato come sarà impostata?
«Veniamo a Siena per raccontare una storia, quella di Mercedes Sosa e del nostro disco. Quindi, principalmente parleremo. Poi non mancherà la musica, con una ventina-trentina di minuti di set».
Emilio Mariotti