Giovanni Pacchiani (Tartuca): “Io ho sposato la Contrada”

Per “Nanni” Pacchiani si pensa troppo alle cose di Palio e poco ai bisogni delle Contrade.

Per qualcuno ogni persona nasce con una missione, una ragione per vivere. Che sia un grande obiettivo o uno più minuto, più umile, non importa, c’è sempre qualcosa per cui uno darebbe tutto se stesso. La ragione di vita di Giovanni “Nanni” Pacchiani è sicuramente la Tartuca, la sua Contrada. Economo storico, il suo regno è una stanza – magazzino in via Pendola, sotto l’Oratorio di Sant’Antonio alle Murella. Fra chiodi, martelli e sedie di legno “Nanni”, classe 1939, si muove come un pesce nell’acqua. Della Contrada ha una visione antica nel senso buono, fatta di limiti e di piccole gioie nate dallo stare insieme.

Quand’è che ha iniziato a fare l’economo?
«E’ dal novembre del ’78, fra due anni faccio quarant’anni. Mi venne a chiamare Giovanni Ciotti al Santa Maria, quando ancora era un ospedale, dove lavoravo come falegname. Prima avevo aiutato mio fratello Franco, che ricoprì il ruolo fra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta. In quel periodo riverniciai i braccialetti grandi. Li risistemai tutti e ventotto fra il ’70 e il ’71, mio fratello invece fece le piastre per farli appoggiare meglio al muro».

In quasi quarant’anni come ha visto cambiare gli impegni dell’economato?
«Sono aumentate, troppo. Io, per esempio, ogni anno ho due-trecento seggiole da accomodare. Come i braccialetti, ne ho già aggiustati una trentina nel 2016, sui duecentoquaranta che sono adesso. Lo fai volentieri, sennò chi ti lo farebbe fare».

Il fatto di essere stato un falegname di professione l’ha aiutata nella sua attività di economo?
«Come no, mi ha aiutato parecchio. Io faccio bene l’economo perché mi intendo di tutte le cose da aggiustare. Tutti i morsetti che aveva usato il mio povero babbo, anche egli falegname, li ho portati tutti qui in economato».

I giovani l’aiutano?
«Ora se uno viene a fare l’economo è dovuto al fatto che è o tamburino o alfiere di Piazza. Ti aiutano, però…».

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Quanti Palii ha vinto da economo?
«Sei, ’91 ’94 ’02 ’04 ’09 ’10. La prima volta, nel 1991, non mi feci trovare impreparato, perché già per le vittorie del ’67 e del ’72 avevo allestito i festeggiamenti con mio fratello. Nel ’67, fra l’altro, un indonesiano ci aiutò a costruire una serie di tendoni a pagoda, rigorosamente giallo e celesti,. Non mi chieda per quale motivo fosse a Siena, perché non lo so!

Quando poi abbiamo rivinto, la dimensione degli allestimenti si fece un po’ diversa, più grande. Nel ’91 a Sant’Agostino costruimmo tutto con i pali innocenti dove legammo dei pannelli giganti di un materiale pesantissimo, il medium-density. Ultimamente, invece, alcune parti della costruzione degli allestimenti sono state delegate a ditte esterne».

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Qualche volta si è mai chiesto chi glielo ha fatto fare di faticare così tanto?
«Il mio povero babbo mi diceva sempre: “Te ti sei confuso troppo con la Contrada ma la moglie non la trovi”. E infatti sono scapolo, sicché aveva ragione! La mia moglie è la Tartuca. Il 1962 è stato l’ultimo anno che ho passato una quindicina di giorni al mare, poi il resto dei giorni di ferie li ho sempre spesi per la Contrada».

Lei come vede la situazione attuale delle Contrade?
«Secondo me si sta dietro troppo al Palio, rispetto a quelli che sono i bisogni delle Contrade. Per esempio bisognerebbe che nei rioni si rallevasse non solo i futuri mangini o capitani, ma anche chi possa essere in grado di aggiustare una seggiola o un braccialetto».

Emilio Mariotti