Di correre un Palio sul Campo con i cavalli e la partecipazione delle Contrade se ne parlava sin dall’inizio del Seicento. Alla fine del secolo precedente l’abolizione delle cacce ai tori aveva un po’ spiazzato le consorelle, che si erano subito impegnate nelle bufalate, dando comunque sfogo al proprio attivismo e alla voglia di rendersi protagoniste.
Il legame con i cavalli era però atavico per i senesi, che da secoli disputavano Palii alla lunga per le strade della città, il più importante e antico dei quali il 15 agosto in onore della Madonna Assunta. Logico, dunque, che sin dal 1605 fosse stata avanzata la proposta di sostituirli alle recalcitranti bufale anche per le corse in Piazza, ma nonostante avesse ottenuto la necessaria approvazione granducale, l’idea rimase lettera morta.
Così, si dovette attendere il 1633 per vedere un Palio nel Campo con i cavalli e le Contrade, complice la peste di manzoniana memoria, che avendo colpito duramente anche la Toscana nel 1630, sconsigliò l’arrivo di cavalli “forestieri” per la tradizionale corsa di mezz’agosto. Ragion per cui il Governatore di Siena Mattias de’ Medici stabilì di sostituire il Palio alla lunga prima con due bufalate, nel 1631 e ‘32, e poi con una carriera di cavalli nel Campo, appunto nel 1633; in tutte queste occasioni a contendersi il premio furono chiamate le Contrade, che di norma non partecipavano alla festività dell’Assunta. Per la verità, esse non risposero alla novità con troppa convinzione, se si pensa che al Palio del 15 agosto 1633, il primo alla tonda documentato con certezza, ne parteciparono appena cinque, tra cui la Tartuca che lo vinse.
Seguirono prima anni di vuoto, dovuti probabilmente anche alla temporanea assenza di Mattias, vero fautore di queste corse con i cavalli, e poi un periodo in cui il Governatore, ormai rientrato in città, sperimentò l’indizione di carriere da disputare in occasione del genetliaco proprio o del fratello, il Granduca di Toscana Ferdinando II. Le Contrade, però, apparvero ancora poco propense ad aderire e spesso forzate a farlo. Finché nel 1656 qualcosa non cambiò drasticamente l’evolvere degli eventi.
Quell’anno, infatti, i tre deputati ad organizzare i consueti festeggiamenti per la Madonna di Provenzano nel giorno 2 luglio, in cui ricorreva la Visitazione di Maria a santa Elisabetta, ebbero un’idea tanto semplice quanto geniale. Fino ad allora la festività, che si celebrava regolarmente sin dalla fine del Cinquecento, si articolava nelle funzioni liturgiche all’interno della chiesa di Provenzano, che era stata costruita appositamente per custodire la piccola quanto veneratissima terracotta raffigurante il busto di Maria, e nello scoppio di fuochi artificiali di fronte alla stessa.
Una cerimonia forse un po’ povera, che nel 1656 decisero di cambiare, probabilmente allo scopo di valorizzare una festa sempre più sentita dai senesi e coinvolgere una parte crescente della città, sostituendo i tradizionali fuochi con una corsa di cavalli in Piazza, per la cui organizzazione avrebbero versato in parti uguali la stessa somma di denaro normalmente spesa nell’allestimento dello spettacolo pirotecnico. E per animarla i tre deputati, che dovevano appartenere alla nobiltà cittadina, si rivolsero alle Contrade, che divennero così le protagoniste della carriera indetta quell’anno in onore della Madonna di Provenzano.
A chiusura dei festeggiamenti, essi predisposero una breve nota in cui, oltre a testimoniare come era andata la novità, presero un impegno per l’avvenire che, in effetti, è stato rispettato dai loro successori e dalla città tutta. “Il Palio di questo giorno 2 luglio 1656 è riuscito bellissimo e gaioso, conquistava la vittoria la contrada della Torre con il fantino Simone detto Mone et cetera”, scrivono i tre Gentiluomini, ma è soprattutto nel resto del documento che, in pratica, codificano il nuovo Palio del 2 luglio. “Si obbligano i magnifici signori deputati […] che nell’avvenire il Palio sarà corso il 2 luglio di ogni anno. […] Si fa obbligo alla contrada vincitrice del Palio che subito dopo conseguitane la vittoria si porti alla chiesa della Madonna in Provenzano a cantare l’inno di ringraziamento per la vittoria conseguita”. Era nato, insomma, il Palio di luglio.
Tre anni dopo, nel 1659, fu aggiunto un altro tassello importante, quando i deputati, detti anche Signori del Brio, supplicarono l’Ufficio della Biccherna, e quindi il Comune, a pubblicare “il bando per il corso del Palio da farsi nella pubblica Piazza in honore della Visitazione della gloriosissima Vergine di Provenzano”, al quale ogni Contrada doveva comunicare con congruo anticipo se aderiva o meno, decisione che ognuna assumeva nell’assemblea del popolo. Le spese per il Palio di luglio, però, rimasero in capo ai Signori del Brio fino al 1836, quando uno degli eletti, Niccolò Bonsignori, si rifiutò di pagare la sua quota, pari a 30 talleri. Ottenuta ragione, a partire da quell’anno l’onere finanziario derivante dall’organizzazione della corsa di Provenzano passò a carico del Comune.
Roberto Cresti
Maura Martellucci