Il 21 aprile 1555 Siena, dopo il lungo assedio e la resa firmata il 17 aprile, apre le porte a Cosimo de’ Medici e alle truppe spagnole di Carlo V. Il condottiero francese Biagio di Montluc ed i suoi soldati escono dalla città con l’onore delle armi e nello stesso giorno, per mantenere l’ordine pubblico, vi entrano le milizie del conte di Santa Fiora.
La resistenza dei senesi era andata oltre ogni previsione e solo la fame e gli stenti avevano avuto ragione dello spirito indomabile dei difensori. La balzana bianca e nera di Siena diviene un gonfalone comunale e si innalza lo stendardo della famiglia de’ Medici. Con la resa arrivano subito i viveri in città.
Scrive Alessandro Sozzini nel drammatico resoconto fatto nel “Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno1555”: “Dopo che il campo imperiale fu entrato in Siena comparvero in Piazza tante some di vettovaglie, che fu uno stupore, cioè grano, vino, pane, carne fresca e carne salata, ed ova: e benchè ogni cosa fusse cara (…) non sì presto un turbine arrivando in piazza, rotando le sue forze da ogni immondizia la spazza come li poveri Senesi, nell’assedio stati, nettorno la Piazza di dette vettovaglie; e ancor nettorno le lor borse di denari, e cominciarono stare allegri”.
Nelle clausole della resa, tra le altre cose, si stabilisce il diritto dei vinti di uscire dalla città con famiglie e beni ed eventualmente di farvi ritorno senza subire ritorsioni. E non sono pochi, considerando la decimazione subita dalla popolazione, coloro che decidono di abbandonare la città in questa domenica 21 aprile: da Porta Romana, insieme ai soldati francesi, se ne vanno 435 popolani armati con le loro famiglie e 242 cittadini nobili, anch’essi con famiglie e servitù. Il drappello porta con sé le insegne e i sigilli del Comune, pronto a dare vita, sempre con la protezione francese, alla Repubblica di Siena ritirata in Montalcino.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti