Cultura

Il 24 maggio 1554 muore a Siena, Bartolomeo Carosi (o Garosi), detto Brandano

Il 24 maggio 1554 muore a Siena, Bartolomeo Carosi (o Garosi), detto Brandano, nato a Petroio, presso Trequanda, nel 1486. In gioventù fu libertino, bestemmiatore, giocatore. Come spesso accade nel racconto delle vite di tali personaggi dopo un incidente (zappando una scheggia di pietra lo colpisce sulla fronte e in un occhio), visto come segno divino, cambia vita e inizia così un’esistenza da profeta errante e straccione. A Siena vive di elemosine, tra stenti e penitenze e si fa chiamare Brandano “dal gran brando che mi ha dato Dio per riprendere i ladroni e i peccatori di tutte le specie”. Brandano predica in tutti i paesi dello stato senese accolto da solenni bastonature o da clamorose beffe, non tali tuttavia da scoraggiare il nuovo profeta dall’intrapresa missione, anche perché, sin dal principio, trova folle disposte a commuoversi alle sue allucinate invettive, ad ascoltare le sue drastiche esortazioni, a riscontrare nella drammatica realtà dei tempi le sue doti profetiche. Queste contrastanti accoglienze gli furono riservate con puntuale alternanza in tutto il corso della sua predicazione itinerante tra l’Italia, la Francia, la Spagna, fatta con un crocifisso in una mano e un teschio nell’altra esortando tutti: “fate del bene che la morte viene”.

Molte invettive e sentenze si rivelano senza dubbio profetiche: “Siena Siena, metti la Signoria nel cervello, se no andrai in bordello”; “Guai a te, Siena, quando i tuoi lupi porteranno il campano e i monti scenderanno al piano”. Ma non parla solo di Siena e, quasi profetizzando la vicenda di Davide Lazzeretti, proclama: “Arcidosso, Arcidosso, dovrai rodere un grand’ osso: che dirtelo non posso”. A lui sono stati attribuiti motti rimasti nell’uso popolare attraverso i secoli: “Quando le carrozze cammineranno senza cavalli, sarà un mondo di travagli”. Giunto a Roma, Brandano si scaglia contro la corte pontificia, caratterizzata da peccati e corruzione, senza lesinare ammonizioni e insulti. Pare sia arrivato perfino a distribuire ossa di morto ai cardinali e allo stesso papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), che lo fa imprigionare diverse volte. Non riuscendo, tuttavia, a placarlo, il pontefice lo fa gettare nel Tevere chiuso in un sacco ed incatenato: Brandano, però, riemerge dal fiume prodigiosamente vivo. Continua, pertanto con le sue profezie: il sacco di Roma (“Roma, Roma, da qui a poco sarai doma” e anche “Roma, sarai messa nel sacco come hai messo me”), e la morte di papa Clemente VII da lui tanto odiato: “Non più Medici, siamo tutti sani”.

Brandano a Siena gode, al contrario, della tolleranza e, anzi, della protezione della Signoria: importanti personaggi cittadini, come il magistrato e diplomatico Agostino Bardi, lo vogliono come padrino al battesimo dei loro figli; i Dieci Conservatori di Libertà, il 23 gennaio del 1547, gli donano di dieci fiorini “pro elemosina et amore Dei”; gli viene perfino concesso ufficialmente di predicare in duomo. Del resto Brandano ha ormai regolarizzato la propria posizione religiosa entrando a far parte della Compagnia di Sant’Antonio Abate, che faceva capo agli eremitani agostiniani della Congregazione di Lecceto. A Siena egli si prodiga nell’opera di assistenza degli ammalati dell’ospedale di Santa Maria della Scala e nell’educazione religiosa dei fanciulli; si fa protettore dei mendicanti elemosinando per loro e talvolta anche spingendoli a qualche tumulto.

Quando Siena finisce sotto il controllo imperiale si esprime esplicitamente, nelle forme dell’invettiva e della profezia che gli sono proprie, contro il rappresentante imperiale don Diego Hurtado de Mendoza. Tuona, mentre gli spagnoli costruiscono la Fortezza: “Don Diego tu questa tela l’hai ordita male, ti mancherà il ripieno, perché Iddio te la taglierà e non la finirai”. Il governo senese, il 9 marzo del 1548, manda in esilio il predicatore, ma l’esilio non dura che undici giorni. La situazione precipita nel 1551, nel clima di aumentata ostilità agli Spagnoli da parte della cittadinanza, quando Brandano prende a sassate un soldato spagnolo scambiato per lo stesso Mendoza: arrestato e torturato dichiara che voleva uccidere don Diego “perché non voglio facci la Cittadella alli miei cittadini, che non la meritano”. Bandito di nuovo e mandato a Piombino con l’ordine di non rimettere piede a Siena pena la morte, ritorna l’anno successivo dopo la cacciata degli imperiali. durante i lunghi mesi dell’assedio Brandano contribuisce in ogni modo alla disperata resistenza della città contro Gian Giacomo de’ Medici e Cosimo I con le sue prediche e l’aiuto a poveri, malati, affamati. Morirà poco prima dell’avverarsi anche della sua ultima profezia: la caduta della repubblica. Il suo corpo fu esposto per tre giorni alla venerazione della gente nella chiesa di San Martino e poi interrato, ma dei suoi resti si sono perse le tracce, così come lui stesso aveva voluto.

 

di Maura Martellucci e Roberto Cresti

Francesco Laezza

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