Cultura

Il 26 maggio 1798 alle 13.10 una scossa di terremoto scuote Siena

Il 26 maggio 1798 alle 13.10 una scossa di terremoto, stimata intorno al grado 8,5 della Scala Mercalli (5,3 della Scala Richter) scuote Siena per qualche secondo (in realtà sembra solo per 5 secondi a quanto narrano le cronache). Si tratta del più violento sisma che abbia colpito la città, con danni pesanti ed alcuni crolli che interessano soprattutto i rioni di Fontebranda e di Ovile, non risparmiando edifici civili quali il Collegio Tolomei (palazzo Piccolomini), il complesso della Sapienza, l’ufficio della Dogana (palazzo Tantucci). Gravemente lesionate anche diverse chiese, a partire da San Domenico, San Cristoforo, che si dovette demolire e ricostruire, e il Duomo stesso.

Anche il Palazzo Pubblico subì vari danni, soprattutto alle carceri e al teatro, mentre non patì conseguenze la Torre del Mangia, che, però, racconta Ambrogio Soldani “in Piazza vedevanla con sorpresa, e con orrore insieme, oscillare specialmente verso la cima e pareva loro che dovesse spezzarsi e cadere a terra (…) in tutte le sue parti).

Un terremoto che mutò l’aspetto urbanistico della città, ma che provocò fortunatamente 3 vittime (alcune fonti parlano di 4 morti) e circa 50 feriti. Tra le vittime al Conservatorio del Refugio morirono Felice Petrucci, una fanciulla che stava per vestire l’abito di oblata, schiacciata dal crollo della volta della chiesa e suor Maria de’ Naldi, a causa delle ferite riportate nello stesso crollo. Per i gravissimi danni subiti da Siena per il terremoto si decise di sospendere il Palio del 2 luglio: “Col tremito alle mani, colle lacrime agli occhi, e col palpito, e gemito di cuore vengo io Pietro Nenci aiuto cancelliere di questa Comunità Civica vergo la carta col presente mio carattere per registrare a memoria dei posteri che in questo giorno non si eseguì la solita corsa di Palio nella Piazza Grande. La ragione di ciò si fu la terribile scossa di terremoto accaduta in questa città il 26 di maggio di quest’anno alle ore una, e minuti dieci pomeridiane.

Tale fu il patimento delle fabbriche, e tale lo spavento, e lutto resosi padrone dell’animo di ogni ceto di persone, che il Governo non credè a proposito di permettere la consueta corsa di Palio con decidendosi differirla a tempo più confacente, e più lontano dalla seguita funestissima disgrazia, e forse al 16 agosto futuro”.

di Maura Martellucci e Roberto Cresti

Francesco Laezza

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