Il 27 marzo 1555 la Signoria di Siena, d’accordo con il comandante francese Biagio di Monluc, prende la drammatica decisione di inviare a Cosimo de’ Medici un ambasciatore (Alessandro Gugliemi) per avviare la trattativa di capitolazione della città ormai stremata dall’assedio.
Cosimo dovrà fare da intermediario con l’imperatore Carlo V perché Siena possa arrendersi nel modo meno disastroso possibile. Si decide di fare una stima esatta dei viveri ancora disponibili e del calcolo dei giorni che ancora si può resistere, chiedendo all’ambasciatore di concludere la trattativa prima che le scorte siano del tutto esaurite. Il giorno dopo – 28 marzo – vengono cacciate le ultime “bocche inutili” ancora presenti dentro le mura: i forestieri che non siano soldati, i mendicanti, le meretrici, i contadini che si erano rifugiati in città scappando dai loro campi devastati, tutti i servitori domestici. Solo le famiglie dei “risieduti” (cioè quelle i cui membri hanno diritto ad essere eletti nelle cariche di governo) potranno tenere un solo servitore.
L’unica altra esenzione riguarda il personale dell’ospedale di Santa Maria della Scala che potrà restare in città. La cacciata va ad effetto il 29 e le conseguenze sono scontate. I primi contadini cacciati fuori dalle porte vengono catturati dagli imperiali e gli viene mozzato il naso e gli orecchi, e così mutilati sono rispediti in città sotto minaccia di essere impiccati se fossero di nuovo usciti dalle mura. La libertà di Siena ha i giorni contati e capitolerà il 17 aprile.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti