Oggi, a mente fredda, vorrei provare a aggiungere qualche riflessione in più sugli esiti del censimento del Fai che ha visto il padiglione Conolly piazzarsi al 27simo posto della classifica nazionale.
Le considerazioni sul risultato ottenuto, con qualche ora in più di prospettiva, si depurano di qualche piccola delusione e mettono in luce più aspetti positivi che negativi.
Provo ad elencarli.
Quando agli inizi di giugno cominciò la raccolta firme, credo di poter dire, senza tema di smentita, che coloro che conoscevano il valore, le potenzialità e la necessità di fare qualcosa per quell’edificio si potessero contare sulle dita di due mani, o poco più. Naturalmente è vero che un numero molto maggiore di persone sapevano di cosa si parlava, a cosa fosse servito, dove si trovasse, magari però avendo ormai perso ogni interesse per quel luogo.
Il fatto che a fine novembre, nemmeno sei mesi dopo, coloro che hanno scelto di firmare per il Conolly siano stati oltre undicimila, ci dà la misura del lavoro fatto, dell’interesse che è stato suscitato, dello sforzo di comunicazione a sostegno del progetto di salvataggio che è stato messo in campo.
È ovvio che poteva essere fatto di più e meglio, ma è anche vero, d’altra parte, che ci si poteva abbandonare al pessimismo e lasciar perdere. A tal proposito vorrei citare un solo esempio: le Terme del Corallo di Livorno hanno avuto, ad inizio gara, un grande spunto iniziale tanto che quel progetto di recupero fu ospite di una delle ultime puntate di Ballarò (Rai Tre) prima dell’estate. In quel momento la trasmissione dette una grande visibilità che lasciava presagire che quell’edificio fosse destinato a primeggiare facilmente. Ed in effetti ha stazionato a lungo nelle primissime posizioni per un certo numero di mesi. Poi evidentemente qualcosa in quel comitato si è rotto ed il risultato finale è stato un 79simo posto con “appena” quattromila firme.
Quindi se in realtà un piccolo successo c’è stato (lo dico senza alcuna enfasi) quali ne sono state le ragioni?
Almeno una delle ragioni è stata quella di puntare sull’unione evitando divisioni e contrapposizioni che di questi tempi sembrano essere sempre più di moda. Innanzi tutto il Comitato “Salviamo il Conolly” e la locale delegazione del FAI (le due componenti fondamentali a sostegno del progetto) hanno stretto una buona alleanza concordando strategie e obiettivi.
A questo punto è stato primariamente cercato un contatto ed un’alleanza con i vertici della ASL Toscana Sud Est, titolare della proprietà del bene, spiegando che la nostra azione voleva coordinarsi con le loro idee ed i loro progetti al proposito.
In seguito si è ricercato il contatto ed il sostegno di tante altre componenti della società cittadina, come il Comune e soprattutto dell’assessorato alla Cultura, come l’Università ed il suo nuovo Rettore. È stato una sorta di pellegrinaggio attuato in queste varie sedi per spiegare le ragioni che consigliavano questo recupero, trovando, devo ammetterlo, sempre persone pronte a capire e ad ascoltare. Ma anche la gente comune è stata cercata e mobilitata con i “banchetti” realizzati in varie sedi e situazioni: per strada, alla Coop, nelle mense universitarie, in sedi come la Pubblica Assistenza e così via. Fondamentale poi è stato l’impegno della rete dei volontari Fai, alcuni dei quali si sono prestati in maniera decisiva. Così il progetto è cresciuto, ma non lo avrebbe fatto nella misura in cui è successo senza il sostegno della stampa cittadina, in tutte le sue componenti. Un sostegno che per la verità molte volte è stato spontaneamente offerto e quasi mai sollecitato.
Forse prenderò, come mi capita spesso, del “buonista”, ma sono convinto che se di piccolo successo si può parlare, lo si fa perché abbiamo scelto questa strada di aggregazione senza ignorare componenti importanti o peggio contrapponendosi in qualche modo alle altrui posizioni.
Per me questo è il lavoro di rete di cui spesso si parla in teoria, ma che poi, magari per orgoglio o trascuratezza, nella pratica non si riesce a mettere in atto.
Che di questo atteggiamento ci sia bisogno se si vogliono portare avanti progetti importanti, faticosi e lunghi come può essere quello del Conolly a me pare evidente e spero che si riesca a rimanere su questo crinale anche per il lavoro (cui accennavo nelle note di venerdì) che il futuro ci pone ancora di fronte.
Per questo sarebbe preferibile che molti avessero da dire su quel progetto, che ci fosse un contributo di idee e di discussione, a costo anche di rischiare un pizzico di confusione, piuttosto che qualcuno si arroghi il potere di decidere senza consultare nessuno.
Il Conolly può diventare un contenitore culturale importante per Siena. La nostra città è forte sul fronte della cultura storica e artistica che fa riferimento agli anni d’oro, ma invece è più debole sugli aspetti culturali relativi al sociale. Non perché non vi siano esperienze o cose da valorizzare, ma perché spesso sono del tutto ignorate. Allora tutta la vicenda del San Niccolò, la sua parabola storica, medica, culturale e sociale, dovrebbe essere conosciuta meglio e di più. Ma, per esempio, anche tutta la storia del Pendola e dell’assistenza ai sordi muti, che pure è stata una vera e propria eccellenza senese, quanto è conosciuta e raccontata? Forse per questo mi capita, a volte, di pensare alla nostra città come ad una signora che piange disperata perché è diventata povera, e non si accorge che sta seduta su un mucchio d’oro, certamente diminuito rispetto a prima, ma ancora consistente. Se ne deve solo rendere conto.
Insomma molte altre cose di Siena, collocate per ora al di fuori dei consueti circuiti, potrebbero diventare fonte di studi e conoscenze di alto livello da un lato e anche di turismo culturale dall’altro. Forse anche di quel turismo abbiamo bisogno per rinascere, o sono solo un illuso?
Sarà dura percorrere questa strada, convincere che anche di quella abbiamo bisogno. Per fare un esempio, solo qualche anno fa un assessore al turismo, per altro molto capace, mi disse che non credeva per nulla in un progetto del genere. Eppure, ancora un esempio, quasi ogni città che è stata sede di un manicomio ha organizzato qualcosa a proposito della conservazione di quelle esperienze e, per quanto ne so, quasi tutte raccolgono successi, visite e sostegno di pubblico.
Sono invece incoraggiato dal fatto che l’aver provato, in questi mesi, a raccontare da queste colonne alcune storie di vite trascorse lì dentro, abbia raccolto un buon successo.
Le persone sensibili esistono ancora e non tutti sono interessati solo ai talent o alle storie dei delitti che fanno audience. Trovare il modo di parlare di certi temi, di raccontare certe vicende, di cogliere i nessi tra il passato, il presente ed il futuro, di riscoprire valori come tolleranza e comprensione è ancora possibile?
Non so rispondere a questo interrogativo, sono invece sicuro che sarebbe molto utile per tutti.
Andrea Friscelli
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