Intervista a Giovanni Piscaglia, che ha portato in questi giorni al cinema il suo “Van Gogh – Tra il grano e il cielo”. Il regista pesarese è stato anche l’autore de “La divina bellezza – Il Duomo di Siena”
Il Duomo di Siena e i quadri di Vincent Van Gogh. Due grandissime espressioni dell’arte umana sì, ma apparentemente senza un collegamento logico. Apparentemente, perché un filo che lega la nostra Cattedrale e le magnifiche opere dell’artista olandese c’è e ha il volto del regista pesarese Giovanni Piscaglia.
E’ proprio lui infatti, già autore del documentario “La divina bellezza – Il Duomo di Siena”, che ha portato nei cinema italiani – dal 9 all’11 aprile – “Van Gogh – Tra il grano e il cielo”, un film dedicato alle opere dell’artista espressionista provenienti dalla collezione del Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda messe in mostra fino all’8 aprile scorso nella Basilica Palladiana di Vicenza.
Piscaglia, perché avete scelto di portare sul grande schermo le opere di Van Gogh?
«Ci è sembrato interessante valorizzare la mostra che sarebbe stata allestita nella basilica palladiana di Vicenza. Non solo perché è stata una delle esposizioni più grandi mai fatte in Italia sull’artista olandese, ma anche per la storia assai interessante della collezionista privata, Helene Kröller-Müller, che creò la raccolta di opere vangoghiane del museo di Otterlo, seconda al mondo per numero, ammirate nella cittadina veneta».
Come ha costruito la narrazione di questo percorso attraverso i dipinti di Van Gogh?
«Ho cercato di uscire dalla retorica che porta con sé Van Gogh in quanto mito. Ho provato a mettermi in contatto con lui a livello sentimentale e psicologico. C’è il tentativo di entrare dentro le opere d’arte, per guardarle senza filtro. Abbiamo usato riprese molto vicine ai dipinti, quasi a dare movimento alle pennellate e cercando di vedere ciò che c’è dentro, qual è la pasta viva che caratterizza la pittura di Van Gogh.
Con Matteo Moneta è stato interessante interrogarsi sulle lettere e sulla struttura di un documentario che doveva ragionare su una narrazione originale e organica: da Otterlo a Vicenza, da Helene Kröller-Müller all’artista olandese, da una dimensione temporale a un’altra.
In più, sono stato nei luoghi vissuti da Van Gogh, per far sì di riuscire a mettermi in un piano di sensibilità che mi mettesse in contatto con lui».
Personalmente, che cosa ha scoperto dell’artista olandese che non conosceva?
«E’ interessante la sua religiosità, perché non era così cupa come in tanti pensano. Quello che mi ha stupito, è che la pittura di Van Gogh non rispondeva a una pulsione paranoide, bensì era una vocazione utile per fargli comunicare la propria religiosità e il proprio dio naturalistico, una divinità delle cose. L’artista olandese dipingeva delle rivelazioni e voleva condividerle con le persone.
Altra cosa che pochi sanno: Van Gogh si autodisciplinava in maniera molto severa e studiava molto , non era così naive».
L’uso vangoghiano del colore, così originale e significativo, potrebbe essere usato anche nel cinema?
«E’ difficile, perché sarebbe difficile realizzare un set con dei colori così immaginifici eppure giusti, eppure sorprendenti, eppure geniali. Ho visto il mio film quasi venti volte e, nonostante questo, ogni volta che lo rivedo mi perdo nelle associazioni così intuitive, così miracolose delle tinte che faceva Van Gogh. Si può, quindi, prenderne spunto, ma non se ne può replicare l’organizzazione spaziale e coloristica. L’arte, comunque sia, deve ispirare il cinema».
Lei ha portato su Sky Arte la bellezza del Duomo di Siena. Se dovesse trovare un elemento comune, tra la Cattedrale senese e l’arte di Van Gogh, quale sarebbe?
«Abbiamo valutato molte opzioni come location dove girare la parte di Valeria Bruni Tedeschi. Alla fine sono stato molto contento di averlo potuto fare nella chiesa di Auvers-sur-Oise, perché io in chiesa sono a casa. In quei luoghi appago la mia dimensione, la mia ricerca della trascendenza. Proprio per questo anche il Duomo di Siena è nel mio cuore. Il lavoro che ho fatto su di esso è uno dei miei preferiti. Nel film di Van Gogh aleggia un senso di religiosità e di trascendenza, quindi un ponte c’è».
Sempre di più aumenta l’arte che arriva al cinema. Perché?
«C’è grande voglia, adesso più che mai, di vivere in maniera diversa l’esperienza della mostra e del museo, e di trovare nuove chiavi di lettura, anche di più facile comprensione per le persone. Il cinema può dare il suo apporto a tutto ciò, anche in maniera critica o approfondita, così come lo può fornire un libro o un saggio, pur in forme diverse. La settima arte può sviluppare la dimensione emozionale».
Quali saranno i suoi prossimi lavori?
«Intanto mi sto godendo questa uscita al cinema, perché è un sogno che si realizza. Continuo e continuerò a lavorare su contenuti d’arte, sempre però con una visione personale. Per esempio, su Sky Arte andranno alcuni prodotti su mostre che saranno inaugurate nelle prossime settimane. Aspetterò, inoltre, che si ripresenti la possibilità di realizzare una nuova opera per il cinema».
Tornerà a Siena?
«Certo, tornerò per salutare tutti gli amici che ho avuto il piacere di conoscere durante le riprese del lavoro sul Duomo, Riccardo e Raffaele Domenichini, Andrea Ceccherini in primis. Quando avrò un ponte disponibile, verrò nella vostra città molto volentieri».
Emilio Mariotti