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Il lungo applauso dei giovani di Siena a Gino Cecchettin: “Sto cercando di imparare da Giulia a donarmi, contro la violenza”

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Non c’è spazio per contenere tutto il pubblico presente all’incontro “Cara Giulia”, organizzato dalla contrada della Torre, fortemente voluto dal priore Massimo Bianchi, insieme alla Fondazione Giulia Cecchettin: l’aula magna del presidio Mattioli dell’Università è piena fino all’inverosimile di ragazzi ma anche di adulti, che si alzano in piedi per applaudire l’ingresso in aula di Gino Cecchettin, ospite della serata. Un momento di riflessione e confronto con i giovani delle contrade ma non solo, moderato da Irene Biemmi, componente del comitato scientifico della Fondazione Giulia Cecchettin, da anni impegnata nei temi dell’educazione alla parità di genere e della prevenzione della violenza sulle donne. Ma lo spazio è troppo poco per contenere non solo le persone ma anche l’emozione: ascoltare le parole di un padre che dichiara di cercare ancora il dolore quando non lo sente più, di cercare l’odore di sua figlia in casa, spiazza l’anima e costringe a guardare una realtà cruda, spietata.

Gino Cecchettin cosa significa, oggi, incontrare i giovani delle contrade, un contesto sociale così particolare come quello di Siena?
“Per me è un onore essere stato invitato. Cercherò di portare un po’ di Giulia, di quello spirito che lei incarnava: altruismo, bontà, voglia di vivere. Vorrei lasciare un messaggio che faccia riflettere: da una tragedia si deve sempre cercare di guardare avanti, riflettendo sì sul significato della perdita, ma impegnandosi anche a risolvere le cause che l’hanno generata. Con i giovani dobbiamo fare proprio questo: guardare al futuro, con consapevolezza”.

Ieri sarebbe stato il compleanno di Giulia. Avrebbe compiuto 24 anni. Purtroppo, da novembre 2023, Giulia ha 22 anni. Li avrà sempre. Dopo quasi due anni dalla tragedia, che uomo è oggi Gino Cecchettin?
“Sono un uomo profondamente cambiato. Non festeggerò più quella ricorrenza: sarà un giorno di ricordo, non di celebrazione. Per me, la settimana precedente al compleanno è stata segnata da un dolore profondo. Forse proprio ieri ho iniziato a stare un po’ meglio. Ma questo dolore lo porterò con me per tutta la vita. Quando perdi una figlia, vorresti averla accanto fino all’ultimo giorno. Però ho anche cercato di fare un percorso di riflessione. So quanto ho sofferto, e tutto quello che sto facendo è per evitare che altri genitori vivano lo stesso dolore”.

Lei è stato intervistato tante volte. Tra le tante cose che ha detto, una frase mi ha colpito: spera che cresca il germoglio che Giulia ha lasciato. Come sta crescendo quel germoglio?
“Sta crescendo piano piano. Stiamo parlando di cambiare una cultura intrisa di stereotipi e mentalità radicate. Ma quel germoglio sta sbocciando: c’è più consapevolezza, più attenzione. Si organizzano seminari, se ne parla, si studia. Con la Fondazione Giulia Cecchettin stiamo portando avanti progetti concreti. Vorrei che fosse come una palla di neve che rotola e diventa sempre più grande, fino ad arrivare a quel giorno in cui, il 31 dicembre, non avremo più una conta a tripla cifra, ma magari – se possibile – zero femminicidi”.

Che pianta si immagina possa nascere da quel germoglio?
“Una pianta vera intende? Forse un giglio. Pensando a Giulia, mi viene in mente il giglio. So che è anche simbolo di una provincia vicina, ma lei amava particolarmente l’orchidea e il giglio. È stato un pensiero istintivo”.

Tra le tante cose che ha detto, lei insiste molto sull’educazione, anche da parte dei genitori. I giovani sono contenitori da riempire con sapere e valori. Lei ha detto: “Non dobbiamo essere amici dei nostri figli, dobbiamo imparare a dire dei no”. È questo il messaggio che darà oggi ai ragazzi? Se dovesse riassumere in pochi concetti semplici ciò che vorrebbe che i giovani comprendessero, cosa direbbe?
“Direi che la vita è un dono immenso e va vissuta, rispettata – la nostra e quella degli altri. La vita è bella, ma presenta anche difficoltà. E spesso non abbiamo subito i mezzi per superarle. Però non dobbiamo scoraggiarci: quei mezzi vanno cercati. La vita non deve essere una discesa facile, perché sono proprio gli ostacoli che ci fortificano e ci rendono adulti più forti e consapevoli”.

Questo percorso lo sta condividendo con i suoi due figli, Elena e Davide?
“Sì, assolutamente. Elena è molto coinvolta nei progetti della Fondazione. Davide, che ora è concentrato sulla maturità, partecipa in modo diverso, ma entrambi sono co-fondatori della Fondazione Giulia Cecchettin insieme a me. Donano parte del loro tempo: oggi io sono qui, non a casa con Davide, ma lui sa che questo tempo che sto dedicando è anche il suo contributo”.

Non più di un giorno fa  è stato evitato un possibile nuovo femminicidio, un giovane che indicava come esempio Filippo Turetta. Ha visto?
“Questo è proprio il tipo di fenomeni che dobbiamo debellare. Non so dare una spiegazione sociologica – lo lascio agli esperti – ma penso che Turetta non stia vivendo una vita in grande. Non penso che seguire la felicità significhi seguire la facilità. La felicità è fare ciò che ci rende felici, ma con consapevolezza. Ogni passo può essere l’inizio di qualcosa, anche della fine. Quindi bisogna riflettere. Lo dico da genitore”.

Lei è un esempio per molti. Un genitore che riesce a trasformare il dolore in qualcosa di costruttivo, che cerca di perdonare, è qualcosa di raro. Abbandonare il dolore per creare qualcosa non è facile né scontato…
“Il dolore non l’ho abbandonato e non lo farò mai. So che mi accompagnerà fino all’ultimo dei miei giorni. Ma ho voluto guardare avanti, ispirandomi a Giulia, che era un esempio cristallino di altruismo. Sto cercando di imparare da lei, di fare ciò che lei faceva ogni giorno: donarsi. E sto cercando, con ogni mezzo, di contribuire a debellare questo problema il prima possibile”.

 

Katiuscia Vaselli