Abbiamo già visto in un precedente articolo che il Palio alla tonda corso il 16 agosto dalle Contrade fu introdotto nel 1701 dall’Oca. Avendo vinto la carriera di Provenzano, la Contrada di Fontebranda rivolse un’istanza al Granduca in cui chiedeva di poter proseguire i festeggiamenti, promuovendo a proprie spese un’altra corsa da disputare in Piazza il giorno successivo alla festività dell’Assunta, occupato dal tradizionale Palio alla lunga.
L’idea della “seconda corsa”, o “ricorsa” come si chiamava allora, piacque e pian pian prese sempre più piede. Anche se all’inizio non sempre fu disputata, perché talora qualche Contrada vittoriosa a luglio non aveva la possibilità, specie economica, di sostenerne l’organizzazione, e in un caso, nel 1709, fu promossa dalla Torre che pure non aveva conquistato il Palio di Provenzano.
Si cominciò a correre regolarmente ad agosto solo a partire dal 1774, anche se non più su iniziativa delle Contrade ma direttamente a spese della comunità. Raramente, però, fu la Magistratura Civica ad accollarsene l’organizzazione e soprattutto il finanziamento, se non in caso di visite granducali, più spesso furono commercianti, artigiani o semplici cittadini a versare i denari necessari, racimolati con una questua per la città, regolarmente autorizzata dal potere governativo; il quale, semmai, partecipava alle spese con un contributo. Da un documento del 1787 si evince che fornai e osti erano le categorie più interessate a far sì che ogni anno si corresse il Palio in più.
Sì perché a fine Settecento quello del 16 agosto era ancora un Palio non ufficiale, quasi un Palio straordinario, e anzi il Rescritto Granducale emanato da Pietro Leopoldo nel 1786 tornò a prescrivere che la Comunità Civica si accollasse le spese per le sole carriere ordinarie, intendendo per esse quella di Provenzano alla tonda e la corsa alla lunga del giorno dell’Assunta. Così nel settembre 1787, quando gli organizzatori dovettero supplicare le Autorità affinché concedesse loro almeno il “solito” contributo di 20 lire, al fine di ripianare il deficit creatosi quell’anno per il Palio del 16 agosto appena corso, la Comunità Civica lo versò ma disponendo che ciò “non passi in esempio”. Tant’è che l’anno dopo mise le mani avanti, costringendo gli organizzatori del Palio d’agosto a depositare “l’importare delle spese almeno di quelle che sono le più importanti”, affinché “non accadino disordini … per mancanza di denaro o per troppo risparmio”. E addirittura il 27 luglio 1790, in vista dell’imminente “ricorsa”, fu stilato un elenco di valori dati in pegno dai cittadini per poterla organizzare.
Una situazione che la Magistratura Civica senese non poteva più tollerare, e sempre più forte era la volontà di organizzare in proprio il Palio d’agosto alla tonda. Soprattutto per eliminare elementi che nuocevano al decoro dell’intera città, come i vari comitati cittadini che ormai si erano sostituiti alle Contrade e la conseguente pratica della questua; che tra l’altro veniva chiesta anche ai “forestieri” presenti a Siena per i più svariati motivi o che erano venuti appositamente per la corsa, costretti a “spendere per una festa pubblica, che ai medesimi non appartiene e che debbon godere senza verun aggravio e molestia”, si scriverà nelle varie istanze avanzate al Granduca.
Così sin dal 1789 la Comunità Civica cominciò a muovere i primi, timidi, passi per tentare di avocare a sé più fasi possibili del “secondo Palio”, e in questo senso va interpretata la scelta di nominare direttamente i “Giudici sopra l’Arrivo” e quelli della Mossa, fino ad allora appannaggio dei Deputati della Festa, cioè di coloro che materialmente coprivano le spese della corsa. E proprio quello stesso anno la Comunità Civica avanzò per la prima volta la richiesta di organizzare in proprio il Palio del 16 agosto, che il 23 maggio fu respinta dal Granduca senza troppe spiegazioni, ma con un semplice “Non s’innovi” l’usanza in voga.
Anche nel 1790 ci si riprovò con un’analoga istanza inoltrata il 15 giugno dal gonfaloniere Scipione Forteguerri. Stavolta la richiesta riuscì a compiere un passo in più rispetto all’anno precedente, ottenendo il 2 luglio almeno il placet del Luogo Tenente Vincenzo Martini. Ma la decisione definitiva presa in data 8 luglio dal Consiglio di Reggenza fu un’altra doccia fredda per la Comunità Civica: il progetto fu nuovamente rispedito al mittente con la sintetica ma inequivocabile formula “Si stia al rescritto de’ 23 maggio 1789”, confermando, cioè, quanto era stato determinato l’anno prima.
Probabilmente pesò nel diniego la complessa situazione politica che stava vivendo il Granducato in quel momento. Pietro Leopoldo, infatti, non era più a Firenze e aveva rinunciato al trono toscano, essendosi dovuto trasferire a Vienna alla morte del fratello, l’Imperatore del Sacro Romano Impero Giuseppe II, avvenuta il 20 febbraio di quell’anno; titolo che Leopoldo acquisì ufficialmente il 9 ottobre con l’incoronazione a Francoforte. E il Consiglio di Reggenza da lui istituito per governare temporaneamente il Granducato, in attesa che gli subentrasse il figlio Ferdinando III, si manifestò organo troppo fragile per assumere decisioni che sfuggissero all’ordinaria amministrazione.
Si decise, così, di far passare un po’ di tempo, senza però mai abbandonare l’idea di trasferire l’intera organizzazione della “ricorsa” nelle mani della Comunità Civica. E finalmente nel 1802, mutato drasticamente il quadro politico del Granducato, con l’arrivo dei “Francesi”, le stesse motivazioni che erano state alla base delle richieste negate nel 1789 e 1790, trovarono accoglimento a Firenze.
Il 12 luglio 1802 la Comunità presentò per la terza volta il progetto di riforma del Palio del 16 agosto al Senato fiorentino, che decideva in luogo del Granduca Ferdinando III. Nella proposta formulata la Comunità avanzò l’ipotesi di tagliare sensibilmente le spese per il Palio alla lunga del 15 agosto, che costava la bellezza di 910 lire, e modificarne il premio assegnando a favore del proprietario del cavallo vincitore una somma di 70 talleri. Scelta che, dai conteggi presentati, avrebbe garantito alla Comunità un risparmio di circa 490 lire. Ora, siccome il Palio alla tonda del 16 agosto costava complessivamente intorno alle 600 lire, mentre il premio per la Contrada vincitrice era quasi simbolico e pari a 40 talleri, si sosteneva nella relazione inviata a Firenze che le 490 lire risparmiate “unite ad altra piccola somma … potrebbero impiegarsi per il Palio detto alla Tonda”. In questo modo le finanze pubbliche “non soffrirebbero … che un aggravio di così piccola conseguenza, che non potrebbe mai alterare l’economia … Sì piccolo aggravio resterebbe largamente ricompensato dal profitto che alla Città ne deriverebbe dal concorso dei forestieri che nell’occasione di dette feste si trattengono in Siena per molti giorni”.
Chiarissima è la volontà di penalizzare l’ormai desueto Palio alla lunga, che non raccoglieva più l’interesse e la passione popolare di una volta, e che, caduta la Repubblica, aveva perduto da secoli la sua valenza politico-simbolica, a favore di un secondo Palio delle Contrade.
Il 16 luglio la ricca documentazione prodotta convinse il Luogo Tenente Generale Angiolo Guillichini a chiedere al re di Etruria Lodovico I l’autorizzazione affinché le richieste della Comunità di Siena potessero diventare esecutive. La risposta positiva arrivò il 22 luglio, vietando, altresì, “qualunque questua o altra contribuzione”. Così il Palio del 16 agosto 1802 fu il primo completamente, e da allora stabilmente, organizzato e spesato dall’Autorità civica senese. Per la cronaca la vittoria arrise all’Onda che montava Matteo Marzi detto Mattiaccio su un roano di Vincenzo Vermigli.
Roberto Cresti
Maura Martellucci
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