Il Santa Maria della Scala si distingueva da quasi tutte le altre realtà ospedaliere per le cure e le attenzioni date ai malati. Per tutti, c’era l’obbligo di tenere un “contegno cortese”.
Nel mondo medievale il confine tra “pauper” ed “infirmus” è quasi impalpabile dato che i poveri a causa della vita difficile e delle carenze alimentari sono, logicamente, anche particolarmente esposti ad ogni genere di malanni.
All’inizio della sua attività il Santa Maria della Scala era soprattutto un luogo di assistenza dove si offrivano ai bisognosi un letto, un tetto e, soprattutto, una alimentazione sana, equilibrata, continua. Molte delle malattie di coloro che si rivolgevano all’ente, in effetti, erano legate alla scarsità di cibo per cui la soluzione stava davvero nel fornire tre pasti al giorno che comprendessero carne, uova, frutta e verdura fresche.
Al momento del ricovero i malati venivano divisi da coloro che erano ospitati in quanto pellegrini e dai poveri affamati, per evitare contagi eventuali e per assicurare un livello più alto di igiene. E, logicamente, esisteva un reparto maschile ed uno femminile. Ogni malato, prima di vedersi assegnato un letto, veniva spogliato dei suoi abiti (che sarebbero stati lavati e riposti fino alla dimissione insieme a denari o preziosi: si rilasciava opportuna ricevuta di tutto quanto veniva dato in custodia all’ospedale), lavato, rasato e vestito con una camicia di lino, una berretina bianca in testa e riceveva le pianelle come calzature.
Ogni letto dell’infermeria o dei pellegrinai (da paragonarsi alle odierne corsie) era dotato di lenzuola e coperte, biancheria di servizio come tovaglie, tovaglioli o asciugamani; vi era poi ai piedi del letto stesso una cassa che conteneva il recipiente per espletare i bisogni fisici completo di “tovagliolino comunale”, cioè la carta igienica del tempo. Sulla testata del letto si trovavano i recipienti con i medicamenti, unguenti, sciroppi e quanto di altro serviva per curare il malato; non mancavano un bicchiere un fiaschetto di vino, una coppa.
Il cibo veniva portato al momento del pasto in ciotole direttamente dalla cucina e ad ogni ammalato era servita la dieta prescritta in base alla malattia. Una volta ricoverato, il malato veniva, innanzitutto, confessato (si cura prima l’anima del corpo o, almeno, insieme) e poi veniva visitato dal medico che diagnosticava la malattia e prescriveva le cure. Durante la visita era presente anche lo speziale che avrebbe dovuto preparare i medicamenti, il barbiere, qualora si dovessero curare denti o praticare salassi, il cerusico per curare piaghe o ferite. L’onzionario, invece, aveva il compito di somministrare le medicine, praticare le unzioni, sorvegliare le diete. E, inoltre, non mancava l’infermiere che si occupava dell’igiene del malato ma teneva anche i rapporti con i suoi familiari e riportava eventuali lamentele al rettore.
L’igiene degli spazi, al pari di quella personale, veniva eseguita con meticolosità. Il Santa Maria della Scala si distingueva così da quasi tutte le altre realtà ospedaliere, dove raramente esisteva la divisione per sessi e, altrettanto spesso, in un letto venivano ammassati due o più ammalati. Tutto questo, ancora una volta, è ben fissato nell’affresco di Domenico di Bartolo dedicato a “La cura degli infermi”. Soffermatevi sui dettagli, i letti in legno, gli oggetti, i gesti, gli sguardi e avrete davanti un reparto medico funzionante, attrezzato, attento. I regolamenti della fine del ‘500 precisano in maniera ancora più minuziosa i compiti del personale medico e infermieristico, si inseriscono le turnazioni di sei ore diurne e notturne per non lasciare mai soli gli ammalati e si precisa l’obbligo per tutti di tenere un “contegno cortese”.
Era iniziato il cammino, che poi si concretizzerà nel corso del Settecento, che porterà il Santa Maria della Scala ad essere, in pratica, esclusivamente un luogo di cura, un ospedale universitario, legato alla facoltà di medicina dello Studio Senese. Una struttura ben organizzata e all’avanguardia che, di fatto, si specializzerà sempre più nelle varie branche mediche e tale resterà fino, quasi, ai giorni nostri.
Maura Martellucci
Roberto Cresti