Ne sono passati a migliaia, di pellegrini, dentro il Santa Maria della Scala nel corso del Medioevo. Trovando un letto per la notte, prima di tutto, poi il vitto (pane e vino appena arrivavano, poi pietanze di vario genere ed ancora pane e vino ai pasti principali).
E c’erano pellegrini e pellegrini. Quelli di condizione più modesta (se non poveri) venivano alloggiati nei pellegrinai insieme agli ammalati (divisi tra uomini e donne), i più facoltosi, invece, avevano un trattamento ben diverso. Intanto il Santa Maria offriva loro varie comodità (a pagamento, è logico) come un alloggio riservato, la cosiddetta “camera dei forestieri”, e poi cibo migliore e servizi di vario genere. Uno dei più particolari era la gestione e conservazione dei loro beni. Per coloro che viaggiavano lungo la via Francigena-Romea il problema della sicurezza era forse il più grave da affrontare essendo la strada piena di pericoli di ogni genere, a partire dai ladri e dai briganti che, soprattutto in terra di Maremma o nel Lazio, facevano la posta ai viaggiatori per derubarli di ogni avere.
Arrivati finalmente a Siena, perciò, prima di ripartire verso Roma, coloro che avevano con sé denaro o preziosi, potevano lasciare le cose di valore in custodia all’ente senese e riprenderli, poi, al momento del ritorno sicuri di avere la possibilità economica di tornare alla propria casa.
Il servizio, lo abbiamo detto, era a pagamento e fruttava bene al Santa Maria della Scala che si era fatto, nei secoli, fama di ente affidabile.
Il primo deposito di cui abbiamo notizia certa risale al 1381 anno in cui una donna (non sappiamo il nome) che stava compiendo il suo pellegrinaggio verso Roma, tedesca, lascia in custodia a monna Petra di frate Cristofano alcune monete ed un pezzo di carne essiccata. Sappiamo anche che dopo due anni il deposito venne versato nelle casse dell’ospedale segno che nessuno tornò più a reclamarlo (e chissà che fine avrà fatto la carne essiccata).
Dall’anno successivo, 1382, sono giunti fino a noi alcuni registri nei quali venivano trascritti minuziosamente tutti i depositi dei pellegrini: cosa lasciavano in custodia (numero e tipo di monete, descrizione di oggetti, come erano conservati: sacchetti, borselli o altro), si annotava minuziosamente colui o colei che li lasciavano (anche caratteristiche fisiche, abbigliamento), il nome di chi aveva ricevuto il deposito.
Tutto questo perché nel momento in cui qualcuno si presentava alle porte dell’ospedale per reclamare indietro il suo deposito doveva essere perfettamente riconoscibile dato che tra il lascito ed il ritiro, talvolta, potevano passare settimane, mesi, o anche più.
La dirigenza ospedaliera arrivò, addirittura, a creare un ufficio “sopra i depositi romei” per gestire al meglio questo aspetto particolarissimo della sua attività.
Tra l’altro i frati che venivano preposti a questo incarico dovevano essere degni della massima fiducia, ricevendo soldi e beni in custodia, e avere, diremmo oggi, un profilo professionale di alto livello: capacità di accoglienza, oltre a saper leggere e scrivere erano necessarie conoscenze contabili, monetarie, geografiche, e, logicamente, dovevano parlare varie lingue per saper interagire con persone provenienti dai più svariati paesi esteri.
Cosa succedeva poi se nessuno reclamava indietro i depositi? Il Capitolo del Santa Maria della Scala, periodicamente, faceva una revisione dei registri e se ormai erano trascorsi un numero di anni che ritenevano congruo tali beni divenivano di proprietà dell’ospedale. In questo modo, proprio come accade nelle banche, nelle cassette di sicurezza dell’istituto i frati trovavano oggetti particolari ma, soprattutto, passava dalle loro tra le mani (e ci rimangono le descrizioni) una impressionante campionatura di monete d’oro, d’argento e di rame in uso nei vari secoli del Medioevo in tutti i Paesi europei.
Maura Martellucci
Roberto Cresti
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