Il mio nome è Antonio da Sangallo. Mi chiamano il Vecchio per distinguermi da mio nipote. Si avvicina ormai la fine di agosto del 1518 e a settembre si inizierà a costruire il Tempio di San Biagio. Qui, su questo prato verde adagiato su una dolce collina tra la Val d’Orcia e la Val di Chiana, sorgerà il mio capolavoro.
Finalmente il mio nome non sarà più legato soltanto alle fortificazioni e alle guerre, ai Medici che si espandono e rafforzano il territorio, ai papi che fanno lo stesso. In famiglia siamo intagliatori di legno da generazioni, mica strateghi.
Ci si adatta, si viaggia, ci si sposta, ma ora che son vecchio voglio aggiungere una sfumatura luminosa alla “perla del Cinquecento”, una meraviglia che risplenda e faccia ricordare a tutti che “il Vecchio” ha ben osservato le architetture classiche e i resti archeologici romani, i disegni della basilica di San Pietro su cui Bramante ha trascorso giorni e notti.
Su questo prato verde rimangono soltanto alcuni resti di un’antica pieve e un affresco che raffigura la Madonna col bambino, sicuramente opera del Trecento senese. Dal momento che è considerato miracoloso, starà sopra l’altare maggiore, al centro dell’abside. E intorno sorgerà la più bella chiesa di Montepulciano. L’ho immaginata così: pianta greca, due campanili simmetrici. Ornamenti che percorrono l’intero edificio: semicolonne, nicchie, oculi. Metope e triglifi a volontà.
Poi, a coronare il progetto, una grande cupola di ben tredici metri di diametro. All’interno ogni braccio avrà una volta a botte in parte cassettonata e alcune nicchie con tanto di altari in marmo. Sarà uno splendore, parola di Antonio da Sangallo. Se non ci credete, passate di qui tra qualche anno: vi aspetterò davanti alla facciata per godermi la vostra bocca spalancata per lo stupore.
Antonio da Sangallo aspetta tutti a Montepulciano da quel lontano giorno e, ancora per qualche tempo, sarà possibile ascoltare la descrizione del suo capolavoro sgorgare da un’audiovideoguida che ne riproduce la voce.
Valeria Faccarello