Bentham è il filosofo e giurista inglese che ha ideato il panopticon, di cui il padiglione Conolly è un esempio.
L’aver messo in moto la raccolta delle firme per salvare il padiglione Conolly, mi ha anche obbligato a studiare e conoscere e far conoscere meglio la storia di quel luogo, ricca di mille implicazioni. Questo è quello che sto cercando di fare, dalle colonne di Siena News che ringrazio per lo spazio concessomi, e cioè illustrare la storia del quartiere Conolly come il luogo più emblematico della storia del Manicomio San Niccolò che ha operato a Siena per circa due secoli (1818 – 1999).
In questi primi articoli ho “incontrato” e parlato soprattutto di due, tre personaggi importanti la cui esistenza non può essere ignorata se si vuol capire qualcosa di tutta la vicenda. Loro sono i “padri nobili”, a volte del tutto inconsapevoli, di quel luogo. Prometto fin da oggi che nelle prossime puntate verrà il momento di raccontare invece le storie di persone meno conosciute che hanno però allo stesso modo fatto, ma meglio sarebbe dire “subito”, la storia del Conolly e più in generale del manicomio, e cioè i pazienti che vi hanno soggiornato.
Ma per tornare ai “numi tutelari” di quell’edificio, uno è naturalmente lo psichiatra John Conolly di cui ho già parlato su queste colonne, un altro è Francesco Azzurri l’architetto ideatore del quartiere e di buona parte degli edifici dell’Ospedale, ma quello forse di maggior spessore è senza dubbio Jeremy Bentham, il filosofo (e molte altre cose) inglese il cui nome è indissolubilmente legato al panopticon. In un pezzo precedente ho sviluppato il significato di quel congegno costruttivo e le sue ricadute sull’atteggiamento terapeutico connesso. Oggi invece vorrei tratteggiare alcuni aspetti della biografia e del pensiero di Bentham che è un personaggio ricco di sfaccettature e con qualche indubbia connotazione di bizzarria.
Jeremy Bentham nasce a Spitalfields (oggi una zona della East London) nel 1748. È figlio di uno dei più conosciuti avvocati del tempo e lo si può definire un bambino prodigio. Si racconta che si approccia al latino a soli tre anni e che avendo a disposizione la grande biblioteca del padre si appassiona alla storia ed alle discipline giuridiche fin dalla giovanissima età. Tanto che il padre sogna per lui una importante carriera, sicuro di vederlo un giorno, magari, Lord Cancelliere del Regno. In realtà Jeremy, che ha anche un fratello, Simon, ingegnere, rimane deluso dagli studi giuridici intrapresi, forse perché non riesce a trovare in essi quella rigorosa esattezza cui aspirava. Così alla morte del padre, che nel 1792 lo lascia in una prospera situazione economica, decide di dedicarsi solo alle sue personali ricerche. Qualcuno ha calcolato che nei quarant’anni che lo separano dalla morte (1832) abbia passato quasi ogni giorno della sua vita scrivendo e producendo dai 10 ai 30 fogli di riflessioni.
Su quali argomenti? Prima di tutto sulla pratica legale che sottoponeva a critiche decise, inseguendo il sogno, come accennavo sopra, di rendere la morale una disciplina esatta dalle regole quasi matematiche. L’aver così lavorato per quasi quarant’anni, lo portò a ideare varie riforme come quella carceraria con il suo panopticon, a statuire per primo i diritti degli animali, a ipotizzare il suffragio universale e la depenalizzazione dell’omosessualità. Qualcuno ha detto, con una di quelle operazioni un po’ ardite dal punto di vista storico ma che servono per divulgazione, che alla sua figura potrebbe essere avvicinato o paragonato il Pannella dei nostri tempi, visto il radicalismo delle sue idee.
Può essere utile, allora, riportare alcune “pillole” del Bentham pensiero.
“La Natura ha posto il genere umano sotto il dominio di due sovrani padroni, dolore e piacere… essi ci governano in tutto quello che facciamo, diciamo e pensiamo: qualsiasi sforzo possiamo fare per liberarci dalla loro soggezione, servirà solo a ribadirla e confermarla”. Questa è a grandi linee la sua spiegazione della umana natura. E di conseguenza se la morale vuole diventare una scienza – così sostiene – deve basarsi sui fatti (come nel positivismo) e non su valori astratti. Nell’etica utilitaristica, la corrente filosofica che contribuì a diffondere, la “felicità pubblica” si pone quale valore sommo. Piacere e dolore sono fatti quantificabili così da poter essere assunti come criterio dell’agire. Bentham formula un’algebra morale cioè un calcolo quantitativo che ci permetta di conoscere le conseguenze dell’agire quantificando la felicità prodotta indirizzandoci verso azioni che massimizzino il piacere e minimizzino il dolore.
“La maggior felicità del maggior numero di uomini è [o dovrebbe essere, N.d.R.] il fondamento della morale e della legislazione”, come non essere d’accordo?
Oppure, dando prova di avere a disposizione oltre che l’utopia anche un estremo pragmatismo, sostiene: “Quando sicurezza e uguaglianza sono in conflitto, non bisogna esitare un momento: l’uguaglianza va sacrificata”.
La sua speranza che il panopticon potesse avere un effetto migliorativo sulla detenzione e sulla riabilitazione dei carcerati è chiaramente espressa nella frase seguente: “Essere incessantemente sotto gli occhi dell’ispettore significa perdere di fatto la capacità di fare del male, se non addirittura il desiderio di farlo”. A proposito ancora del panopticon può essere interessante precisare una cosa poco nota. L’idea di base Jeremy la deve dividere con il fratello Simon, cui ho fatto sopra un breve accenno. Infatti, Simon, ingegnere e giramondo, si trova a dirigere in Russia il grande cantiere navale del principe Potiomkin (sì…proprio quello dell’omonima corrazzata), fabbrica di notevole entità e formula per primo il principio di un controllo centralizzato della forza lavoro, ideando quella particolare costruzione. Ne scrive al fratello Jeremy che, tra le sue varie attività, si occupava anche di una fabbrica, in cui faceva lavorare persone con problematiche legali. La cosa lo stuzzica ed elabora qualcosa che non è solo un semplice modello architettonico ma un vero e proprio metodo educativo pedagogico, di cui ho già detto.
La storia ha poi forse contraddetto questo suo pensiero, ma invece cosa dire dell’estrema attualità del suo parlare dei diritti degli animali? Scusandomi della lunghezza della citazione, penso però che molti, dopo averla letta, si lustreranno gli occhi, increduli che sia stata scritta nel primo Ottocento, eccola: “I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza riparazione ai capricci di un torturatore. Si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’osso sacro sono motivi egualmente insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? La domanda non è possono ragionare? né possono parlare? ma possono soffrire?”.
Un’altra frase, dotata oltretutto di un pizzico di poesia, che mi piace ricordare e che ci restituisce la sua visione della vita fatta parimenti di umanità e di una modernità disarmante è: “Il vizio è un errore di calcolo nella ricerca della felicità”.
Non è possibile illustrare il personaggio Bentham senza almeno accennare a quello che fu il suo ultimo progetto: l’Auto Icona. Egli lasciò precise disposizioni testamentarie in cui manifestava la volontà di lasciare il suo corpo alla scienza in modo che potesse essere, anche da morto, fonte di studio. Questo si concretizzò nella mummificazione del suo corpo, poi rivestito degli abiti che usualmente portava. Si raccomandò che fosse messo seduto nella posizione che aveva spesso occupato quando scriveva e nella stessa seggiola su cui aveva passato tutto quel tempo. E così lo si può ancora vedere, presenza incombente, esposto in un’ala dell’University College di Londra. Si dice che negli ultimi anni di vita Jeremy girasse portandosi in tasca i due occhi di vetro che avrebbero sostituito i suoi, chiedendo pareri sulla loro verosimiglianza.
Sfortunatamente però il processo di mummificazione, affidato ad un Maori neozelandese, fu, almeno per la testa, tragicamente sbagliato tanto che il cranio rapidamente si deteriorò fino ad assumere un aspetto terribile. Così prima la testa fu asportata e posta separatamente al corpo. Ma la mummia così esposta era ancora più spaventosa e così fu deciso di ricostruire, in plastica, la testa di Bentham. Quel macabro feticcio fu anche l’oggetto di uno “scherzo” di alcuni goliardi che chiesero un riscatto di 10 sterline per restituirlo.
Mi fermo qui anche se il personaggio Bentham avrebbe ancora molte cose da esprimere e raccontare, anche per non andare troppo lontano da quello da cui siamo partiti e su cui i prossimi pezzi ci riporteranno: la vita e la storia del manicomio e del quartiere Conolly in particolare.
Andrea Friscelli