Il 31 maggio dell’anno 1600, rispondendo all’indizione del solenne Giubileo proclamato dal papa Clemente VIII, la compagnia di Santa Caterina in Fontebranda arriva a Roma dopo aver percorso la via Francigena. Si era messa in marcia da Siena (circa 200 persone tra uomini, donne e bambini) il 26 maggio, come, in quell’anno, fanno altri innumerevoli sodalizi da tutta Italia. Solo da Siena transitano 54 compagnie.
Fra di esse c’è anche la compagnia dei musici del duomo di Siena, guidata dal celebre maestro di cappella Francesco Bianciardi (al quale si attribuisce la prima elaborazione del “basso continuo”). L’itinerario del viaggio (sia chi parte da Siena, sia chi vi transita) include una peregrinatio penitentialis urbana nella quale è inclusa, sempre, oltre al duomo, la chiesa di Provenzano che, pur essendo ancora in costruzione, rappresenta già un polo mariano conosciuto grazie alla devozione per la Vergine dei miracoli. Poi, tutte, proseguono verso la Porta Nuova (Porta Romana) dirette ad limina Sancti Petri. La storia del pellegrinaggio della compagnia di Fontebranda è raccontata dal priore, Lelio Bandini. Il viaggio verso Roma è, per tutta questa gente, pieno di problemi.
Fedro Bandini si comporta come oggi farebbe un tour operator: organizza tutte le tappe del viaggio che costa 4 scudi a testa all inclusive. Il rettore, prima di partire, indica come vestirsi (l’abbigliamento deve essere comodo per agevolare il cammino e, come ogni pellegrino che si rispetti, doveva comprendere: cappa nera, cappello di feltro nero, bordone nero, “calzette bianche di lana o camoscio”. Al seguito, per portare gli oggetti pesanti, c’erano muli e cavalli) e quale comportamento tenere durante il viaggio: si incede in fila per due, senza mai superare la croce, in maniera composta e mai sguaiata (del resto non stanno andando ad una scampagnata! E, precisa “chi vuol andare a Roma per altro fine, indugi ad altro tempo, per non dare scandalo alla Compagnia”). Giunti nei vari centri abitati, precisa il priore, entreremo “processionalmente (…) e dove posaremo per desinare o alloggiare si vada con umiltà e devotione prima alla chiesa” (la Francigena è puntellata dalla rete capillare e ben organizzata dei “forieri” che, come veri e propri agenti di viaggio provvedevano ai pernottamenti lungo il tragitto).
Il diario scandisce le tappe: Monteroni, Buonconvento, San Quirico d’Orcia, Radicofani, Acquapendente (anche se in tutti i luoghi erano accolti con calore ed entusiasmo questa tappa deve aver fatto loro particolarmente perché ricevettero in dono “alquanti fiaschi di vino, mandati dalla Compagnia della Santissima Trinità”), San Lorenzo Nuovo, Bolsena, Montefiascone e Viterbo. In prossimità della Capitale, poi, arrivano le difficoltà: fa molto caldo e questo rende il cammino difficile; la Francigena è trafficata e percorsa da “numerosissima gente” e devono camminare strettissimi per non perdersi; arrivati a La Storta trovarono piene non solo “le stanze dell’ostarie, ma le strade, piazze e campi servivano a’ viandanti in luogo di ben accomodati letti e materassi”.
A Roma i Confratelli vengono tutti ospitati dalla Nazione Senese e il soggiorno romano sarà particolarmente emozionante per i nostri che saranno perfino ricevuti, nelle sue stanze più segrete, dal pontefice per caldeggiare l’inserimento di Santa Caterina nel santorale, essendo in corso la revisione del breviario. Il 1650 è di nuovo un anno giubilare e per l’occasione si mettono in viaggio i contradaioli dell’Oca, accompagnati verso Roma dalla compagnia laicale di San Domenico. Perché è importante? Perché questo sarà il primo resoconto di un pellegrinaggio fatto da una Contrada.
Maura Martellucci
Roberto Cresti