Il legame fra la famiglie Sadun e Adami-Cardini è speciale. Il pediatra Gino Cardini aiutò Luigi Sadun e la sua famiglia a sfuggire ai nazisti
“Ho trascorso la mia infanzia a Siena e mio nonno mi raccontava spesso di quando, dopo l’8 settembre del ’43 erano dovuti scappare dai nazisti che gli davano la caccia. Quel racconto sentito dalla viva voce di chi l’aveva vissuto è rimasto per sempre forte e indelebile nella mia memoria. La violenza dell’ingiustizia subìta, così come il coraggio e l’ attaccamento alla vita da loro dimostrato in un momento di così grande difficoltà, rimangono per me, ancora oggi, un punto di riferimento essenziale. La sfida per le nuove generazioni dev’essere quella di riuscire a tramandare quelle immagini e quelle sensazioni anche quando, purtroppo, i testimoni diretti non ci saranno più, affinché l’abominio di quello che è stato non debba più ripetersi per nessun essere umano, in nessuna parte del mondo,qualunque sia la sua origine, il colore della sua pelle, la sua religione, il suo modo di essere o il suo pensiero. Solo così, guardando ogni ingiustizia come se ci toccasse direttamente e accettando le differenze, l’umanità potrà superare le sfide e i problemi che il processo di globalizzazione internazionale ci pone oggi di fronte”.
Leggi queste parole e sono un pugno allo stomaco. Un po’ perché ci senti dentro la speranza di chi sente le sue radici forti, un po’ perché ogni essere umano forse si sente attraversare ancora da quei meccanismi rugginosi che a distanza di settant’anni lasciano ancora il segno.
Questa frase l’ha postata su Facebook Ginevra Iorio, 26 anni e una storia di grande umanità che la precede. Il suo è un pensiero per il Giorno della Memoria e trova gradimento e commenti. Tra questi, un sorriso e ‘un abbraccio, a presto’ da parte della senese Fiamma Cardini.
E allora scatta la voglia di scrivere un messaggio per capire qualcosa di più di quello che appare un vero e proprio scambio di affetto. Dentro una chat si apre un mondo che difficilmente contiene il vortice di ricordi e paure e amore.
“Mio nonno era Luigi Sadun – racconta Ginevra – e settant’anni fa, con i genitori e mia nonna Wanda, le mie zie Lucia che aveva 16 anni e Annalisa che aveva pochi mesi (mia madre Giovanna sarebbe nata qualche anno dopo), scappò e trovò riparo tra conventi, canoniche, mulini abbandonati. Con la guida di monsignor Luigi Rosadini. Alla vigilia del 6 novembre erano stati avvertiti dell’arrivo dei tedeschi per il rastrellamento, che sarebbe infatti avvenuto all’alba. Durante l’inverno, quando anche l’ultimo rifugio diventò rischioso e sembrava inevitabile consegnarsi ai tedeschi, il miracolo: la famiglia Adami-Cardini che abitava in pieno centro storico, a due passi dal Duomo, aprì le porte ai nostri cari, rimproverandoli anzi perché non avevano pensato subito a nascondersi a casa loro”.
“Ho sempre vissuto questi racconti con estrema naturalezza – racconta Fiamma, figlia di quel Gino Cardini, pediatra, che nascose la famiglia Sadun in casa propria – e mai un momento i miei genitori mostrarono timore o dubbi. Era una scelta irrevocabile e definitiva, che segnava il confine invalicabile tra la barbarie e l’appartenenza al genere umano. Queste sono le parole che oggi usano i nipoti dei Sadun per descrivere il gesto della mia famiglia. Io so che mio padre spacciava Annalisa, appena nata, per una nipote e così le faceva avere in ospedale qualcosa da mangiare in quei periodi così duri. Da grande ho capito che rischiavano ogni giorno la vita per difendere quella famiglia ebrea. Ma io oggi lo rifarei con lo stesso spirito, questo mi è stato insegnato e questo lega ancora le nostre famiglie con profonda amicizia, più di una parentela. Ricordo che pensavo con curiosità al fatto che si potessero affacciare solo di notte in terrazza e che proprio da lì, all’alba del 3 luglio 1944, videro i soldati alleati strisciare nei vicoli che conducono a Piazza del Campo: quando finalmente il tricolore svettò sulla Torre del Mangia,e tutte le campane della città suonarono a festa, capirono che erano liberi. Sono orgogliosa della mia famiglia, ricordo da piccola quando venne l’ambasciatore israeliano a Siena per la cerimonia di consegna al mio babbo della medaglia dei Giusti tra le Nazioni. Conto di far presto un viaggio a Gerusalemme. Lì, a Yad Vashem, sono ricordati anche loro con altri senesi. Siena è piccola ma ha avuto diversi Giusti tra le Nazioni”.
“Siena è la mia casa – conclude Ginevra nel racconto – , tutto ciò che ho di bello, la mia famiglia, le mie radici, sono lì. Oggi vivo con angoscia le notizie che lasciano trasparire l’orrore del genocidio. Mi fa paura. Vedo poca visione dell’altro, del diverso”. Ed è un nuovo pugno allo stomaco. Forte come la verità.
Katiuscia Vaselli