Arrivati in fondo ad un abbondante pasto, la promessa è sempre la solita: niente dolce. Eppure, ogni scaltro cameriere sa che basta pronunciare una magica parolina per risvegliare le papille gustative del più sazio commensale. Il Tiramisù, diciamocelo, è la gioia e la maledizione di ogni goloso che si rispetti, una dolce tortura per tutti quelli che si dichiarano a dieta e che, puntualmente, rinviano il digiuno al lunedì successivo, ogni qualvolta che il famigerato dolce viene nominato. Un “peccato di gola” che ha origini lontane e sembra nascere proprio dalle mani esperte dei pasticceri senesi del XVII secolo.
Insomma, non capita tutti i giorni di avere un Granduca come ospite e Siena tutta, saputo dell’imminente visita di Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, si ingegnò per ricercar qualcosa da offrirgli come perfetto omaggio. Ma cosa? Possiamo immaginarci una città in fermento. Qualcuno optava per fargli trovare una serpe nella branda, altri si dissero più propensi al buon vecchio metodo del gotto di vino avvelenato ma qualcuno disse “Eh no! Il vino un’ si tocca. E che un’ si dica che a Siena un’ siamo ospitali…” e quindi Siena, mamma amorevole, aprì le sue porte senza alimentar fini bellicosi.
L’arduo compito restava, però. Spifferi da vicolo narravano di vicende matrimoniali al quanto complicate: sembrava che lo stimato Granduca si fosse accasato con tale Margherita Luisa d’Orléans, cugina del re Luigi XIV, la quale gentil dama era famosa per esser in possesso del difettuccio del secolo: la puzza sotto al naso. Le malelingue volevano che il Granduca fosse vittima di un matrimonio un po’… tiepidino, se così si può dire, lasciando che l’immaginazione suggerisca i dettagli di ciò che (non) succedeva tra le lenzuola del Granducato. Non sappiamo chi fu il geniale pasticcere che sfruttò il pettegolezzo a suo favore, ma pare che l dono perfetto venne trovato nella realizzazione di un dolce dagli ingredienti energetici, di quelli che conferiscono il ristoro necessario per affrontare anche le notti… più fredde.
Così, savoiardi, crema e caffè furono serviti al Granduca con tutti i salamelecchi del caso e le dovute ruffianerie. Lui ne rimase affascinato. “La zuppa del duca“, l’antico nome del dolce, conquistò il palato e il cuore del Granduca di Toscana (anche quello della bella Margherita, forse?) che decise di portarsi appresso la ricetta, onde evitare di restare a secco di zuppa, sia mai. Da lì, giunta a Treviso e poi a Venezia, la zuppa si diffuse tra i cortigiani che solevano consumarne laute porzioni prima di ogni incontro amoroso. Il nome del dolce, quindi, mutò nel più evocativo Tiramisù.
Arianna Falchi