Sembrerebbe una storia di molti secoli fa, eppure vicino a Siena un bambino è stato abbandonato dalla madre solo pochi giorni fa e, in media, uno o due bambini vengono abbandonati (da genitori che mantengono l’anonimato) ogni anno.
In ogni periodo storico, del resto, le motivazioni restano le stesse e consistono, principalmente, nella povertà e nella vergogna.
Fin dal Duecento, i bambini lasciati all’ospedale di Santa Maria della Scala a causa dell’estrema indigenza sono in molti casi figli legittimi e provengono, per lo più, da famiglie contadine, nelle quali un neonato grava sul bilancio familiare. In questi casi, quando i genitori si trovano nell’impossibilità di assicurare alla prole anche il livello minimo di sussistenza, dare il bambino all’istituto assistenziale è un modo per concedere al neonato almeno una speranza di vita, ed in tali casi, spesso, passati i momenti difficili le famiglie vanno all’ospedale per riprendere i propri figli. Sappiamo, ad esempio, che il 20 ottobre del 1387 il Capitolo dei frati del Santa Maria della Scala decide di restituire alla madre un fanciullo di nome Cristofano, il quale è stato posto nella pila il mese precedente “sença ristituire alcuna spesa perciò che è povarissima persona”.
Del resto un aspetto fondamentale della funzione sociale che gli ospedali si trovano a svolgere è quello di offrire ai ceti inferiori un sollievo che si rivela tanto psicologico quanto economico, e l’ente diviene l’unico mezzo a loro disposizione per non soccombere: Marco, figlio di frate Ceccho d’Andreolo granciere a Montisi, è già grandicello il 3 dicembre 1361 quando il padre lo lascia per la prima volta alle cure del Santa Maria della Scala che lo accoglie “a mangiare e a bere e albergare”. Trascorsi quasi quattro anni Cecco riprende il figlio con sé, ma non essendo ancora in grado di mantenerlo dopo poco tempo il ragazzo viene nuovamente mandato in istituto e solo nell’ottobre del 1366, dopo una permanenza durata “otto mesi meno otto dì”, riesce ad accoglierlo definitivamente in famiglia
La legittimità di nascita viene attestata anche dall’età che i bambini hanno al momento del loro ingresso in ospedale poiché l’abbandono dei figli naturali è frutto di una scelta più ponderata rispetto a quello degli illegittimi: trascorrono talvolta giorni, settimane o addirittura mesi prima che la famiglia giunga ad una decisione risolutiva. Questo abbandono ritardato, tra l’altro, consente all’infante maggiori possibilità di sopravvivenza all’interno dell’ospedale dato che il pericolo di morte è meno alto superati i rischi dei primi giorni, e quasi scongiurato se il bimbo è già svezzato.
L’esposizione dei figli legittimi è legata anche alla morte del padre, della madre o, peggio, di ambedue i genitori: tuttavia a Siena abbiamo esempi di consanguinei, zii oppure nonni, i quali richiedono al Santa Maria della Scala la restituzione del proprio nipote, come accade nel 1387 quando l’ospedale decide di “rendare uno fanciullo a monna Barnabe di Guccio sua avola”.
Le famiglie, poi, non esitano ad esporre fanciulli anche grandi quando si accorgono della presenza di menomazioni fisiche, di problemi mentali o, perfino, caratteriali (vengono così definiti con il termine generico di “pazzi”, parola che talvolta nasconde, magari, solo una certa difficoltà di indole o apprendimento). Queste caratteristiche fisiche e psicologiche diventano per i fanciulli un segno di riconoscimento, un soprannome, e scorrendo gli appellativi attribuiti agli esposti del Santa Maria della Scala sembra quasi di ricostruire un prontuario medico contenente l’elenco delle malattie che affliggono l’infanzia del tempo: “Chaterina scianchata”, “Catterjna sorda”, “Agniesa paza”, “Caterina piccola zopparella”, “Franciescina mutola”, “Achille troglio”, “Meia moncha”, “Pasquino zoppo”, “Macho ciecho” e anche “Giovanni Salvaticho”, sono solo alcuni esempi della metà del XV secolo.
Nelle società prevalentemente rurali, ma anche tra la popolazione urbana indigente, è la nascita di una figlia femmina a rappresentare, in molti casi, un grave problema per la famiglia, per questo motivo il numero delle esposte è di norma più alto di quello dei maschi. Un ragazzo, anche nelle realtà più povere, costituisce una potenziale forza lavoro mentre le bambine, solitamente più deboli, comportano perfino un onere economico maggiore per la famiglia data l’aggravante di una futura dote.
I figli frutto di relazioni illegittime, invece, normalmente vengono abbandonati subito dopo la nascita e in maniera anonima, in quanto la donna cerca di nascondere l’avvenuta maternità per sottrarsi al giudizio morale della comunità. Molte di queste donne sono ragazze giovani non ancora sposate alle quali un figlio renderebbe quasi impossibile un futuro matrimonio e, in ogni caso, è un’onta da nascondere.
I fanciulli nati da relazioni clandestine rappresentano la maggior parte degli esposti che vengono accettati e cresciuti all’interno degli istituti ospedalieri preposti alla loro cura.
A loro, per non trascorrere tutta la vita in ospedale, non resta che la speranza di un’adozione dato che, certo, i genitori reali non verranno mai più a riprenderli.
Roberto Cresti
Maura Martellucci