L’Arte della spada e della bandiera

Il gioco delle bandiere è un esercizio praticato con continuità, coerenza filologica e stile classico soltanto a Siena, nonostante che in ogni città o borgo a vocazione turistica d’Italia ne vadano ormai in scena molte scimmiottature.

Basterebbe, in proposito, menzionare che solo a Siena chi ‘gira la bandiera’ ha un nome preciso: ‘Alfiere’. Altrove ci sono gli ‘sbandieratori’, che si esibiscono, nei costumi delle sagre o feste cosiddette storiche, in numeri da circo. Gli ‘sbandieratori’ sono molto organizzati. Hanno dato addirittura vita a due federazioni nazionali, e diffondono notizie assurde sull’origine del gioco delle bandiere. Lo fanno nascere in epoca comunale, in cui sarebbero esistiti ipotetici ‘segnalatori’, incaricati d’impartire ordini alle truppe attraverso lanci e sventolii dei vessilli [1]. A parte il fatto che la parola ‘sbandieratore’ è un neologismo, non c’è nemmeno traccia che i ‘segnalatori’ siano mai esistiti; senza contare che nelle guerre del passato i comandi erano impartiti prevalentemente mediante suoni, poiché il suono è omnidirezionale e non richiede di distogliere l’attenzione dal nemico che magari ti sta di fronte, pronto a colpirti.

Franco Cardini, nella sua fondamentale opera sulla storia della guerra[2] ci dice che gli eserciti comunali erano una torma di cittadini non professionisti, perciò spesso armati solo con arnesi del mestiere e, soprattutto, di archi e balestre con cui lanciare nutriti nugoli di frecce per fiaccare, anche con insulti e provocazioni, il morale del nemico. Il quale, se andava in panico, veniva, infine, rotto dalla cavalleria, e massacrato dai vittoriosi inseguitori. Quindi, tattiche semplici, adatte a truppe poco addestrate (a parte la cavalleria pesante, che, comunque, eseguiva sempre una sola manovra: la carica frontale).

La nascita dell’arte di maneggiare l’insegna va, perciò, posticipata al 5-600, quando, secoli dopo Roma, compaiono nuovamente le formazioni organizzate e ben addestrate dei fanti: come quelle del Quadrato dei picchieri svizzeri, il Tercio spagnolo, le compagnie dei Lanzichenecchi.

Quindi, niente a che fare con l’orgoglio dei liberi Comuni o gli splendori del Rinascimento, invocati dal soliti ‘sbandieratori’, che hanno copiato, senza capire, un anacronismo del nostro Corteo, dove, in questo caso, non è un difetto ma una prova di autenticità in un evento di cui è regista la Storia; non lo sprovveduto coreografo di una cosiddetta Festa storica..

Alla formazione serrata dei fanti risale anche l’uso diffuso del tamburo, portato in occidente dai Turchi. Il tamburo (c’informa sempre Franco Cardini), originariamente usato dagli sciamani per dialogare con i defunti, in virtù del suo ritmo ipnotico, evoca l’ineluttabilità del Fato, mentre la tromba annuncia l’imminenza del Giudizio. Suggestioni che si percepiscono anche nello svolgimento del Palio: col lento avanzare del Corteo al rullar dei tamburi, e la pelle d’oca che si prova, quando le chiarine del Carroccio annunziano che il momento della verità sta per arrivare.

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Ritornando alle bandiere, si vede chiaramente dalle figure (che reca immagini essenzialmente riferibili a soldati del mondo germanico) come la bandiera assuma solo dal XVI secolo la forma quadrata, si riduca di dimensione, e – cosa fondamentale – l’asta si accorci fino al punto di consentire di impugnarla vicino alla stoffa. E’ nata la bandiera adatta a essere ‘girata’ e a consentire eleganti ‘fioretti’ come si dice (o si diceva) a Siena. Quindi: niente Medioevo, o corti rinascimentali.

L’onore di costudire la bandiera spettava all’aiutante del Capitano, ossia all’Alfiere, termine derivato dallo spagnolo ‘alférez’ (dove ancora significa ‘tenente’), a sua volta derivato dall’arabo ‘al farìs’ (cioè cavaliere, che con il maneggio della bandiera non ha nulla a che vedere).

L’Alfiere marciava con l’insegna spiegata della sua Compagnia, dietro al Capitano che guidava le truppe in parata o in battaglia. Quindi, l’Alfiere non trae il nome dal fatto di maneggiare la bandiera, ma, al contrario, maneggia la bandiera in virtù del grado che gliene concede l’onore.

L’evoluzione da un semplice ‘sbandieramento’ (come quello che vediamo eseguire oggigiorno dalle tifoserie negli stadi), a più complessi movimenti appare frutto di un’evoluzione naturale: non diversamente da quello che fanno, con la mazza, chi dirige una banda militare o le ‘majorette.

L’origine militare dell’uso di girare la bandiere, è anche confermata dal ‘Trattato della Bandiera’ del Maestro d’armi, il padovano Francesco Ferdinando Alfieri (oggi ampiamente citato in tutti i siti dei nostri ‘sbandieratori’).

Nell’opera (che è parte di un più ampio trattato sull’uso della spada) compaiono numerose incisioni riguardanti le figure che l’Alfiere può eseguire. .Fu Luigi Bonelli il primo a confrontare, in un numero della ‘Lettura’, le figure del quel Trattato con i ‘fioretti’ che ancor oggi eseguono i nostri Alfieri, mostrandone la perfetta corrispondenza e lo stile rigoroso.

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Afferma, infatti, il Maestro padovano: “sarà… il movimento dell’alfiere, o d’altra persona, che voglia per diporto maneggiare l’insegna, libero ma ben composto grave, ma però militare…[3].

Sorge spontanea allora la domanda: perché l’Arte di maneggiare l’insegna è rimasta autentica solo a Siena? Due, possono essere le cause. La prima deriva dalla consuetudine delle Contrade di sfilare nel Campo in formazione militare agli ordini di un Capitano seguito dal suo Alfiere, in occasione di una Caccia ai tori o di una Bufalata o di un Palio alla ‘tonda’. La seconda nasce dalla presenza a Siena, per molti secoli, di una numerosa colonia di artigiani e studenti tedeschi.

Trattati analoghi, antecedenti a quello dell’Alfieri, ma in lingua tedesca, suggeriscono, infatti, che l’arte della bandiera potrebbe esser nata nel mondo militare germanico, dove per prima s’impose la necessità di una disciplina ferrea imposta ai soldati (ormai sudditi di uno stato, piuttosto che cittadini in armi) indotti a identificarsi nell’insegna di un Reggimento o di una Compagnia.

Che esistesse un suo coinvolgimento con le Feste senesi della ‘Nazione’ tedesca è suggerito da uno scritto, in cui Virgilio Grassi riferisce del Palio straordinario, con annesso Masgalano, promosso da due Principi della Casa di Liechtenstein, studenti della nostra Università, corso il 9 settembre 1658 per ricordare, a cinque anni di distanza, la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi.

Il Palio fu vinto dalla Selva e il Masgalano andò all’Onda. L’evento suscitò grande entusiasmo non solo tra le vincitrici, ma anche nelle altre, che si unirono tutte per manifestare il loro giubilo, recandosi ‘a servire’ con le loro insegne i due Principi, facendo fuochi e ‘girando le insegne’.

Un’altra notizia del coinvolgimento della stessa colonia nel Palio (questa volta quello ‘alla lunga‘ che si continuò a correre ogni anno, fino a quando Napoleone non lo abolì).

Leggiamo, infatti, nel Diario Senese’ di Gerolamo Gigli alla data del 15 agosto[4]: “Dopo Vespero l’inclita Nazione Alemanna cavalca pel corso in compagnia della Nobiltà senese avanti il Serenissimo Governatore, e si fa passeggio dal Palazzo di S.A. fino al Monistero del Santuccio, dove stanno alle mosse i Barbari (sic) che corrono al Palio di lì fino alla Piazza del Duomo”.

I rapporti col mondo militare germanico è suggerito anche da i molti condottieri senesi, che, in secoli diversi, servirono sotto le insegne imperiali: da Ottavio Piccolomini a Tiburzio Spannocchi, a Paolo Amerighi, eroe della battaglia al ponte della Dreva[5]; senza dimenticare il Principe Mattias de’ Medici, Governatore dello Stato senese, appassionato di cavalli e di Palio, che si distinse nella Guerra dei Trent’anni dalla parte degli Imperiali.

C’è una cosa, fino a oggi non evidenziata a sufficienza: la relazione tra scherma e gioco della bandiera. Ne ‘La Bandiera’, alcune delle figure del testo, mostrano esercizi da compiere brandendo insieme spada e bandiera. Quindi, l’Arte del maneggiare l’insegna, può essere vista come un complemento dell’Arte di maneggiare la spada: forse, come una forma di ginnastica preparatoria, per allenare muscoli e accrescer coordinazione di movimenti. Sempre Francesco Alfieri ci dice che. L’esercizio della Bandiera sarà sempre da commendare imperocché in esso il piede si fa pronto, si rende pieghevole la vita, la mano acquista forza, e si discioglie il braccio…

E che spada e bandiera potessero in certe occasioni essere manovrate insieme, oltre ad essere l’oggetto delle ultime quatto lezioni del Trattato, ce lo dice anche il cronista Guglielmo Palmieri a proposito di un caso capitato il 3 novembre 1650, quando l’Alfiere del Drago, tal Massimiliano Franceschini, “…giunto davanti alla Corte granducale, presente a quella bufalata, leggiadramente maneggiò l’insegna ed innalzandola tirò mano alla spada, giocando insieme l’insegna e la spada”.

Se girare la bandiera, originariamente, è arte militare connessa con quella di maneggiare la spada, essa si evolve poi a Siena, grazie all’estro di tanti Senesi che se la tramandano di padre in figlio, per generazioni.

Così, alle classiche ‘mutanze’ descritte da Francesco Alfieri, se ne aggiungeranno di nuove: come il ‘salto del fiocco’ ideato dal famoso Mastuchino, Alfiere storico della Nobile Contrada dell’Aquila, e, in tempi molto più recenti , quelle nate, giocando in due (e, soprattutto, insieme) la bandiera.

L’ultimo indizio dell’origine indipendente dei due alfieri cade nel 1928, quando si decide che i disegni delle due bandiere siano uguali, e non più diversi, come si era usato fino allora.

Mi auguro che queste considerazioni convincano i cosiddetti ‘sbandieratori’ che l’Arte di maneggiare l’insegna, nella sua forma originale e autentica, permane solo a Siena.

Paolo Neri

[1] Vedere Wikipedia alla voce ‘sbandieratori.

[2] Franco Cardini: ‘Quell’antica festa crudele’, Il Mulino

[3] Francesco Ferdinando Alfieri :‘La Bandiera’ in Padova 1638, pag. 6

[4] Gerolamo Gigli: ‘Diario senese’, Arnaldo Forni Editore, vol. II p.I, pag.110.

[5] Virgilio Grassi: ‘Palio ed altro per il Telegrafo’, a cura di G. Catoni, P. e R. Leoncini. Siena 1991, pag. 64.