Tre dettagli restano nel cuore quando si vivono i luoghi della bellezza ferita dal terremoto: una bambina, una Santa, i volontari
Stefania ha 11 anni e bei capelli lunghi che incorniciano un visino vispo e curioso. Stefania è una bambina di Cascia e dalla fine di ottobre vive la sua infanzia ben diversamente da quella di altri suoi coetanei. Stefania e gli altri bambini di Cascia, così come quelli di Norcia e dintorni, come quelli delle Marche e prima ancora quelli di Amatrice, Accumoli e gli altri luoghi distrutti dai forti terremoti di agosto e di ottobre, hanno la paura negli occhi. Laddove dovrebbe frizzare solo entusiasmo. Anche perché è Natale e il Natale è la festa soprattutto dei bambini. Come dimostra l’albero addobbato fuori dalle tende con tutti i loro nomi, con tutti i loro pensieri colorati.
Il campo è allestito ai piedi del paese, che all’apparenza sembra non aver subìto grossi danni. E’ quando cala il sole e le temperature scendono fino a -15° che si comprende: Cascia è quasi un paese fantasma. Nel buio, si vedono quattro o cinque luci girando lo sguardo verso l’alto; sono le uniche case abitate. Il resto degli abitanti è nelle roulotte o nelle tende perché anche dove non è vera e propria zona rossa, gli edifici sono comunque stati dichiarati inagibili – piano piano, grazie ai lavori, la gente potrà tornare nelle proprie abitazioni ma non sarà così veloce – e tutto è ancora completamente precario. Tranne il freddo. Quello morde, davvero.
Stefania è tra i bambini più fortunati di Cascia perché lei in casa può stare ma ha paura. Perché l’orco che esce dalla terra e inghiotte tutto, non si dimentica così facilmente. Rimane dentro. Ed è per questo che arriva ogni mattina la psicologa per aiutare le persone che vivono nei campi di emergenza. Ed è per questo che Stefania ogni mattina, quando non c’è la scuola, viene fino alle tende del campo, si mette un grembiule e aiuta i volontari nei lavori che ci sono da fare. Perché qui si sente al sicuro. E’ diventata la mascotte del campo di Cascia, lei, che con la serietà e l’impegno di una donna adulta, aiuta i volontari di turno e con curiosità si presenta ai nuovi arrivati e parla con tutti mentre non distoglie l’attenzione dal lavoro che sta portando avanti.
Un lavoro fondamentale, importante, meraviglioso. E a vederlo con i propri occhi si capisce quanto non ci sia nulla di edulcorato nelle storie che si leggono su giornali. Una macchina organizzativa perfetta che si muove sull’asse dell’Esercito, delle forze dell’ordine, della rete del volontariato: a Cascia e dintorni i campi sono gestiti dalla Misericordia, a Norcia il compito è della Pubblica Assistenza e di sicuro non è diverso da qui. Persone competenti, volonterose, capaci di far sorridere quanti non ne hanno proprio voglia, capaci di dare calore umano. Uomini, donne, vecchi, giovani, dalla mattina presto fino alla sera non c’è un attimo di pausa in quelle tende: dopo il caos, comprensibile, dei primi giorni, ormai la macchina organizzativa è perfetta. Ci sono i container dei generi alimentari, ci sono le tende riscaldate, c’è la ludoteca, lo spazio mensa, i bagni più puliti di quelli che si trovano a volte in certe case, la cucina dove – nonostante si debba sempre ragionare in termini di cucina da campo con fornelloni – tutto è disinfettato e pulito in maniera adeguata per quanti dovranno mangiare ma anche per chi prepara i pasti. Quasi duemila al giorno quelli che vengono distribuiti anche nelle zone vicine. E tutto arriva caldo e buono, merito sempre di quella macchina organizzativa precisa e puntuale di cui abbiamo parlato qualche riga sopra. Quello che avanza, si dà a quanti hanno da mantenere gli animali. Come l’anziano che a piedi, col suo bastone e un secchio, è venuto a prendere qualcosa per i suoi cani.
Nei giorni delle Feste di Natale, tutto si fa più difficile. Nonostante i panettoni e lo spumante, nonostante il calore umano che lascia fuori dalle tende l’aria fredda di montagna che ti entra fino alle ossa. Un freddo sano ma pungente. Ci sono abituati gli abitanti della zona, nati e cresciuti in questi paesini bellissimi incastonati nella roccia, basta alzare la testa da quelle strade strette strette e pare che i campanili possano caderti addosso, tanto è ripida la pelle rocciosa che si affaccia su Serravalle. Loro ci sono abituati al freddo, non certo alla devastazione. Allora quando cala il sole vedi salire su nel cielo buio decine di lanterne che i bambini lasciano andare esprimendo desideri. “Una è di mia figlia – dice una signora che mi si fa vicino mentre guardo il cielo – ma ora ha la febbre alta e non è potuta venire a vederla”. “Poverina”, rispondo. “Cosa vuoi che sia. Non è niente a confronto di ciò che abbiamo passato”.
Cascia è un paese molto bello, che deve molta della sua notorietà a Santa Rita che qui ha vissuto: nei giorni di festa sono diverse le persone che salgono su al paese, fino al santuario che domina le case e le vallate, per una preghiera davanti al corpo della Santa che giace dentro un’urna di vetro. Gran parte del Santuario oggi non è agibile, eppure lo sforzo è stato quello di dare un senso di normalità alla situazione: sotto alle impalcature che hanno il compito di dare sicurezza alla struttura, un grande presepe sembra sorreggere il peso di tutto e lei, la Santa, pare vegliare dalla sua cella che nulla di più grave accada a questo luogo che molto vive intorno alla sua figura: i negozi di souvenir non lavorano tanto come un tempo e come, in questi giorni di festa, avrebbero dovuto fare. Però sono aperti, alcuni almeno, come qualche bar e poco più.
Dalla fine di ottobre sembra quasi un paese fantasma nonostante gli sforzi della popolazione e dei volontari, ma anche dell’esercito che presidia giorno e notte il territorio, di far apparire tutto più normale possibile. Ma gli edifici, le strade, l’anima della gente ha dei cretti profondi dentro. Da queste foto si intuisce la desolazione: deserta anche la strada che porta al santuario, dove da sempre pellegrini e turisti affollano il percorso. Impalcature ovunque a proteggere campanili e case. Eppure, le poche persone che ci sono, entrano a pregare nell’angolo del Santuario agibile: quasi un miracolo, la cappella dove si trova esposto il corpo di Santa Rita, una fortezza di spiritualità capace di reggere tutto questo peso e di non lasciare indifferenti nemmeno gli atei più convinti.
Da Norcia, dalle chiese dei borghi vicini difficili da scovare ma anche da questo luogo arrivano le opere d’arte che Siena ospita in questo periodo nella mostra La Bellezza Ferita, un percorso tra opere recuperate dopo i crolli ed esposte al pubblico così, come sono state trovate: incomplete, rotte, piene di polvere e anche di pioggia. E vivere i luoghi fa venire ancora più voglia di vedere la mostra, di capire, di entrare dentro al lavoro dei vigili del fuoco e del recupero.
Nel frattempo al campo è già tempo di preparare le cena: in questo periodo ci sono i cuochi che arrivano da Siena, i gruppi delle Contrade (in questi giorni tocca all’Istrice) che si avvicendano e che sono affiancati dai volontari della Misericordia. Siena c’è ed è viva e forte, nella sua massima espressione che sono le Contrade. Tutto funziona alla perfezione in questo ventre d’Italia ferito dove la parte buona del Paese – tanta, tanta davvero – viene ad aiutare chi ha bisogno donando il proprio tempo e le proprie energie. Nulla di banale, nulla di scontato. Qualcosa di bello e unico, qui come in altre zone dove operano altri volontari, perché l’amore e l’altruismo non hanno bandiere, stemmi, associazioni.
Tre dettagli ti restano nel cuore quando si vivono i luoghi colpiti dal terremoto: il coraggio di una bambina, la pietà di una Santa, la grandezza dei tanti volontari che sono la parte semplice e buona dell’Italia.
Katiuscia Vaselli