Le tracce di Leone XIII nel Duomo di Siena: una vetrata che è simbolo del dialogo in tempi di crisi. Proprio come oggi

Era il 30 aprile 1881 quando il cavalier Ferdinando Rubini, rettore dell’Opera Metropolitana di Siena, si rivolse per iscritto al Santo Padre Leone XIII. Con la missiva, il rettore sottolineava il profondo legame fra i pontefici e la Cattedrale facendo memoria dei nomi dei papi senesi e dei loro preziosi lasciti di cui la Chiesa poteva fregiarsi. Fra questi, ovviamente veniva menzionata la consacrazione della Cattedrale al culto della Vergine proprio in presenza del senese papa Alessandro III Bandinelli. Il rettore auspicava, così, di poter ricevere anche da papa Pecci – «oggi che la Storia ha provato in modo non dubbio che la vostra Illustre e Nobile Famiglia appartiene al Patriziato senese» – un ricordo materiale e tangibile per la Cattedrale» (in realtà il Papa era nato a Carpineto Romano, ed apparteneva ad un ramo della famiglia che, di origini senesi, si era trasferita in quel territorio in Età moderna). «E l’occasione – scriveva il Rubini – sarebbe propizia, perché fra i restauri artistici di questo Tempio monumentale, ai quali ho consacrato le mie cure e la mia vita, rientrano pure quelli della riapertura dei classici finestroni della navata centrale, stati chiusi in epoche di decadenza, e questo è appunto il lavoro al quale deve attendersi nell’anno corrente».
Sin dall’inizio del suo rettorato nel 1864, Ferdinando Rubini si era fatto promotore di numerosi restauri, riguardanti principalmente il pavimento e la facciata. I lavori erano stati realizzati grazie alla generosità del Monte dei Paschi, dell’Amministrazione comunale e del Regio governo, ma è doveroso sottolineare che la gran parte del merito sia da ascrivere all’impegno tenace e perseverante con cui il Rubini ricoprì il suo incarico. Come dimostrano le numerose lettere custodite nell’Archivio dell’Opera, il rettore cercò sempre di mettere a frutto la sua rete di relazioni e conoscenze personali per poter far avere all’istituzione l’appoggio politico ed economico necessario alla sua sopravvivenza, custodia e sviluppo. La richiesta che egli rivolse a Leone XIII rappresenta un esempio della sua dedizione. Nella lettera, infatti, il Rubini riportava in maniera forse un po’ sfrontata l’ammontare delle spese che, in qualità di rettore, avrebbe dovuto affrontare per i lavori: 2650 lire per ciascuno dei dieci finestroni. Nel rivolgersi al pontefice, egli lo implorava «umilmente» di voler fregiare dello «stemma gentilizio uno dei suddetti finestroni» e di omaggiare la Cattedrale di un lascito «a memoria dell’attuale veneratissimo Pastore di tutta la cristianità».
Che Leone XIII decise di accogliere l’istanza del rettore Rubini è visibile ad ogni fedele o visitatore che si rechi in Duomo. Se si volge in alto lo sguardo, infatti, sopra i busti dei papi è possibile vedere, seppur con un po’ di sforzo, la vetrata che raffigura lo stemma e il ritratto del pontefice.
Non ci resta, quindi, che auspicare che il rapporto privilegiato che la nostra Cattedrale ha sempre avuto con i Sommi pontefici, mantenutosi persino in uno dei momenti di attrito più forti fra l’autorità laica e quella religiosa, come quello costituito dal periodo del rettorato di Rubini (1864-1890), possa rimanere ben saldo e rappresentare un esempio di come sia fondamentale, soprattutto in tempi di crisi, dialogare e camminare insieme come ci ha invitato a fare il nuovo Pastore della cristianità, Leone XIV.

Virginia Minnucci

Università per stranieri di Siena