Lo sfregio di Firenze monitorato da geologi senesi

L’obiettivo dei fiorentini è quello di mettere in sicurezza tutta la zona del Lungarno Torrigiani entro novembre, periodo in cui ricorrerà il cinquantennale dell’alluvione del ’66.

Il 25 maggio scorso Firenze è stata sfregiata da una voragine lunga 200 metri e larga 7 sul Lungarno Torrigiani. Il terreno è sprofondato a due passi da Ponte Vecchio, nel cuore della città del Rinascimento. Parallelamente all’inchiesta per “crollo colposo” avviata dalla Procura fiorentina, sono stati attivati immediatamente studi e ipotesi per la messa in sicurezza e il recupero della zona del disastro. Anche Siena, con la sua Università, sta dando una mano in queste operazioni. Il Centro di Geotecnologie dell’ateneo senese sta lavorando, con i suoi ricercatori, sul luogo della frana del Lungarno Torrigiani con indagini che riguardano aspetti di geofisica, topografia, monitoraggio e geotecnica. I rilievi, conclusi il 6 giugno, sono stati portati avanti di notte, spesso sotto la pioggia. Abbiamo intervistato per saperne di più il professor Riccardo Salvini, membro del Centro di Geotecnologie.

Salvini_Lungarno5Cosa vi è stato presentato quando siete arrivati a Firenze?
«Ci sono stati presentati una serie di studi, prevalentemente rilievi di carattere morfologico e geologico e indagini geofisiche. Servono sia a una sistemazione immediata che a una di più lunga durata, in previsione di una protezione del muro ed, eventualmente, dei palazzi retrostanti».

Cosa state elaborando?
«Noi stiamo elaborando dati relativi a indagini geofisiche. In particolare della tomografia elettrica. Questi ultimi possono essere utili al georadar per ricostruire la stratigrafia del sottosuolo e l’individuazione di cavità, legate a tubazioni e a tutto quello che sta sotto la superficie. In parallelo c’è la parte di cui mi occupo io, cioè un rilievo scanner terrestre per la ricostruzione 3d del sito, visto non solo dalla parte del Lungarno Torrigiani, dove c’è la frana, ma anche dal Lungarno Diaz. Il modello in tre dimensioni poi sarà oggetto di studi morfologici, che serviranno nella progettazione delle opere di sostegno e protezione».

Chi è che vi ha coinvolto in questi lavori?
«La maggior parte degli incarichi sono per l’Università di Firenze, soprattutto per quelle parti che coinvolgono le materie Tecnica delle costruzioni e Idraulica. Per i segmenti riguardanti la Geofisica e la Topografia Publiacqua si è rivolta a noi. Nell’incarico è previsto il monitoraggio a lunga durata, perché ci sarà bisogno di controllare il sito durante i lavori e dopo, con il fine di garantire la sicurezza e il funzionamento delle opere di protezione».

Riccardo Salvini

Secondo te quali saranno i tempi necessari per la messa in sicurezza della zona?
«A novembre ricorrerà il cinquantenario dell’alluvione di Firenze del ’66, quindi loro vogliono provare ad avere tutto pronto per quel periodo. Il discorso del monitoraggio, invece, proseguirà per un lasso di tempo più lungo. Ricordiamoci che su quella zona, nei dintorni di Ponte Vecchio, ci sono gli occhi puntati del mondo intero. Io penso che il monitoraggio si potrebbe protrarre per alcuni anni, anche per capire lo sviluppo dei cicli stagionali, le variazioni di temperatura, eccetera».

Poi si è capito cos’è che ha creato questa voragine?
«Questo non rientra negli obiettivi del mio studio. Stiamo sentendo che stanno indagando per capire se è stato il cedimento del terreno che ha provocato il collasso del tubo o il contrario. Io non ho elementi per dirti qualcosa di specifico».

Due giorni fa (il 9 giugno) Grosseto è stata colpita da un nubifragio ed è rimasta allagata. Questi fenomeni climatici quanto incidono nell’aumento delle frane?
«Ci sono una serie di concause, in parte legate ai cambiamenti climatici. Però anche il ruolo dell’uomo svolge un “gioco” importante. Per esempio per quanto riguarda l’incuria e l’abbandono del suolo. La pericolosità geologica ci potrebbe essere a prescindere, ma l’essere umano si è spinto troppo al “limite”, grazie alla tecnologia».

Secondo te la provincia di Siena è a rischio?
«Lo può essere dal momento in cui l’uomo abbandona un’attività di controllo sui corsi d’acqua e sui terreni. Sicuramente potrebbe aiutarci un’agricoltura non proiettata al consumo del suolo, ma diretta alla sua protezione. Piano piano si stanno ripristinando figure addette all’ispezione di tratti fluviali. Più che di tanti software queste persone hanno bisogno di strumenti pratici, tipo quelli che usavano i nostri nonni contadini».

Emilio Mariotti