Wassili Cetoff Sternberg era un grande commediografo. Un visionario, un brillante e sagace scrittore di commedie teatrali che suscitò l’ammirazione di buona parte d’Italia. La prima metà del ‘900 vide le sue creazioni fomentare i buoni giudizi della critica, amate e osannate, c’era chi avrebbe venduto la casa solo per poterlo conoscere direttamente. Wassili Cetoff Sternberg, non esiste. Non esiste oggi, non esisteva ieri… E non è mai esistito.
Questa è un’altra storia di estro senese, di come l’ingegno sembra aver sempre invaso gli animi di quella strana gente e di come, in un modo o nell’altro, gli abitanti di questa città toscana riescano sempre a lasciare la propria firma e il proprio ricordo ai posteri. Questa, in particolare, è la storia di Luigi Bonelli. Egli nacque nel 1892 a Siena, ovviamente, dove coltivò la propria passione per la scrittura fin dai primi anni, approfondendo gli studi e dando libero sfogo al suo ingegno letterario, cimentandosi anche in piccole imprese epiche – per un giovane adolescente -, come presentare un sonetto al tema di italiano per l’esame di maturità. Ebbene sì. Dieci e lode, per altro. Ma la sua più grade impresa, avvenne qualche anno più tardi, quando Bonelli terminò gli studi e iniziò a scrivere per la Nazione di Firenze come cronista teatrale, impiego che ancor di più fece crescere la sua voglia di produrlo, il teatro, desiderando di vedere in scena le sue opere e di concretizzare le sue aspirazioni di commediografo, le quali sembravano impellere più di ogni altra cosa.
Come è già stato detto, ai Senesi non manca l’ingegno e non mancò neanche al nostro Bonelli, che fece uso dell’allora moda del momento per raggiungere i propri obiettivi. Sembra che, all’epoca, l’attenzione del grande pubblico fosse rivolta agli autori esteri che, per qualche motivo, suscitavano interessi maggiori rispetto a quelli più nostrani. Con la collaborazione di Carlo Ludovico Bargaglia (regista e sceneggiatore romano che diresse attori dello spessore di Totò), Luigi Bonelli ideò… La burla del secolo. Ecco, è qui che nasce Wassili Cetoff Sterberg, fantomatico commediografo russo che ingaggiò Bonelli per tradurre le sue opere dal latino all’italiano, a quanto pare, ma altri non era che Bonelli stesso, il quale divulgò le proprie commedie sotto questo falso pseudonimo, riscuotendo un notevole successo. Wassili divenne uno degli uomini più acclamati del momento – nell’ambiente – e più di uno avrebbe voluto conoscere questo straniero talentuoso, l’autore di grandi successi come “Storienko” o “Le commedie a letto” (poiché ogni opera prevedeva un letto posto in scena). Qualcuno, addirittura, affermò di ben conoscere Wassili, di esserne amico, stimato conoscente e di averci scambiato più di un interessante dialogo. Insomma, se Bonelli ebbe l’idea, fu il pubblico stesso a renderla concreta.
Finalmente, cavalcando l’onda del successo, Bargagli convinse Bonelli ad uscire allo scoperto, sollevando il velo di fantasia che ricopriva l’identità dietro alle sue commedie. Ci sarebbero molti titoli illustri da citare, molte opere pluriosannate che non sempre si trattavano di commedie teatrali, ma egli scrisse anche libri come il noto “Boccaperta in Furberia” ( la sua trasposizione teatrale è stata anche interpretata dai bambini delle contrade ), un’opera per ragazzi. Ed è proprio per loro, per la gioventù, che Bonelli amava scrivere.
In tutto questo, le radici senesi di Bonelli non furono mai dimenticate ed è di Siena, infatti, che narra quello che viene definito il suo capolavoro. L’operetta musicale intitolata “Rompicollo”, infatti, narra le vicende di una ragazza che riesce a correre e a vincere il Palio di Siena. Vi ricorda nulla? C’è un altro membro della famiglia Bonelli che è caro ai senesi per la sua storia e per la determinazione impiegata nel raggiungimento dei propri obiettivi: Rosanna. Luigi, altri non è che il padre dell’unica donna che può vantare l’onore di aver corso il Palio, nel 1957, per i colori dell’Aquila, dove venne soprannominata “Diavola”, ma questo fu ben presto sostituito con “Rompicollo”, in onore di quell’opera e di quell’altrettanto determinato padre.
Arianna Falchi
foto: archivio Ligabue