E’ stata inaugurata questa mattina, nei locali della cosiddetta Cripta del Complesso Monumentale del Duomo di Siena, la mostra Maestri “a rischio”. Il cantiere del duomo di Siena e le “teste grandi” per la facciata del battistero.
Per la prima volta, vengono esposte al pubblico otto grandi sculture raffiguranti delle teste maschili e femminili, in origine collocate nella parte alta della facciata del battistero senese, incompiuta rispetto al progetto originario. Le protomi sono state estratte dalla facciata per poterne garantire la conservazione e sono state sostituite in loco da calchi: la secolare esposizione delle sculture agli agenti atmosferici e all’inquinamento ha infatti provocato una generale corrosione degli strati superficiali del marmo e, in alcuni casi, delle fessurazioni e la forte alterazione dell’intaglio lapideo.
Dopo un attento restauro, le sculture sono presentate al pubblico con un elaborato allestimento museografico, che evoca la loro funzione e collocazione originarie.
Non è facile dire se la committenza intese affidare a queste sculture un qualche significato. Oggi ne percepiamo soprattutto la valenza ‘ornamentale’, che dovette almeno in parte presiedere fin dall’origine all’ideazione della serie, destinata a enfatizzare lo stacco della cornice marcapiano posta a coronamento di quest’ordine della facciata. Grazie alla capillare documentazione dei lavori nel cantiere della cattedrale nel corso del XIV secolo, sappiamo con certezza che nel 1355-1357 si stava lavorando in questa zona della fabbrica del duomo. Le sculture si possono così riconoscere come le otto conservate di una serie di “teste grandi” che furono realizzate nel corso dell’estate e dell’autunno dell’anno 1356.
Solo le sculture collocate nella sezione centrale della facciata si sono conservate; sono invece perdute quelle delle aree sinistra e destra.
Sotto la direzione del capomastro del momento, lo scultore Domenico d’Agostino, che diresse il cantiere del duomo dal 1350 al 1358 e di nuovo nel 1362, le “teste grandi” furono intagliate da cinque diversi scultori, pagati con una modalità di retribuzione che al tempo si definiva “a rischio”, ossia non secondo il tradizionale pagamento “a giornata”, bensì in base al numero dei “pezzi” lavorati.
I cinque maestri impegnati nel ciclo furono Niccolò di Cecco del Mercia, Giovannino di Cecco, Paolo di Matteo, Michele di Nello e Domenico di Vanni, dei lapicidi dei quali, a parte Giovanni di Cecco, futuro capomaestro della cattedrale, avevamo finora soltanto delle notizie riemerse dalle fonti documentarie. Essi tornano oggi ad avere un’identità come scultori proprio grazie a queste “teste”.
La mostra, promossa e organizzata dall’Opera della Metropolitana, in collaborazione con Opera-Civita, è a cura di Roberto Bartalini (Università degli Studi di Siena) e di Alessandro Bagnoli (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo). Le sculture sono state restaurate da Giuseppe Donnaloia.
La realizzazione editoriale del catalogo si deve a Sillabe (Livorno).