Mostro di Firenze: Un serial killer non nasce mai per caso

Un serial killer non nasce mai per caso. Ci sono fattori psicologici, fisiologici, ambientali, che influiscono in modo determinante sullo sviluppo di una personalità delirante; il concretizzarsi delle fantasie del soggetto “malato” si estrinseca necessariamente in una scia sanguinante di delitti, efferati e inspiegabili ai nostri occhi, ma ben costruiti per la mente del criminale seriale.
La figura femminile spesso incarna l’oggetto col quale il killer non riesce a rapportarsi adeguatamente facendolo sentire impotente e inferiore. Quando parlo di impotenza, non faccio riferimento solo a un’eventuale impotenza sessuale, ma anche a una qualunque forma di inettitudine del soggetto nei confronti della donna, che nel suo immaginario può assumere varie vesti; una donna assente, verosimilmente nell’infanzia del soggetto, una madre cinica e severa che incute timore e instilla un odio virulento nella mente del futuro killer, una figura femminile ambita dal punto di vista sentimentale e sessuale che non ricambia le attenzioni, e spesso che neanche comprende le intenzioni del soggetto. La casistica è molto ampia, anche se esistono necessariamente delle classificazioni, e soprattutto varia in base all’esperienza personale.
Tutte queste forme di “abbandono” scatenano nella psiche del soggetto malato una sorta di perversione, un comportamento che si esprime in forme atipiche rispetto alla norma, portando a un rituale di uccisione scandito.
Nella storia del Mostro di certo devono essersi verificati uno o più episodi che hanno influito in maniera determinante nello sviluppo della convinzione di sentirsi abbandonato; è importante però tenere ben presente che non è mai un solo fattore a scatenare la psicopatia di un serial killer.

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Credo che tutti noi abbiamo subito una delusione, ci siamo sentiti in balìa di un destino incerto, sicuramente ci siamo sentiti soli in momenti importanti della nostra vita; è abbastanza evidente però che non sfoghiamo la frustrazione nel compiere delitti.
Fisiologicamente e psicologicamente potrebbe esserci una predisposizione, che di certo viene fuori nel momento in cui un fattore esterno riporta a galla un malessere mai sopito. Nella mente del soggetto si fa quindi chiara quale possa essere la sua missione, e basta veramente anche solo un ricordo, un’immagine, un luogo, un odore, un sentimento provato anni addietro, per portare una personalità disturbata nel binario che lui considera l’unico percorribile: quello di uccidere ritualmente per appagare un bisogno che sente fortissimo e imperativo.
E’ molto interessante a questo punto, approfondire le tematiche che il film “Maniac” mette in luce, e introdurre un aspetto, a mio avviso molto affascinante, che riguarda l’interazione dei serial killer coi mezzi di comunicazione.
Il protagonista del film, che in certe casistiche mi ricorda Norman Bates (il protagonista di “Psycho”, pellicola capolavoro guarda caso ispirata alla figura di uno dei serial killer più prolifici e più noti negli Stati Uniti, Ed Gein, che manco a dirlo aveva grossi problemi con la figura materna), è afflitto da una grave solitudine e da un’incapacità di vivere dovute dalla necessità di rimpiazzare la figura della madre. Per colmare questo vuoto uccide le donne, ne asporta e conserva lo scalpo, vivendo circondato da manichini decisamente macabri. Il fatto che questo film sia uscito a Firenze nei giorni del delitto di Calenzano, e che la scena principale con la quale si sponsorizzava la pellicola fosse proprio l’omicidio di una coppietta all’interno di un’automobile, possono essere di certo una casualità; proviamo però a fare una riflessione, tenendo sempre conto che di risposte giuste possono esservene più di una.
Alcuni autorevoli studiosi del caso ritengono che questo film sia stato un fattore scatenante della scia dei delitti 1981-1985. Personalmente mi sembra alquanto poco probabile; per quanto sia suggestivo pensarlo, credo che questo sia invece un fattore fuorviante.

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Un serial killer ha già in testa un rituale di uccisione, perché quello è l’unico modo che può portare appagamento, non trarrebbe il medesimo godimento nell’uccidere con mezzi diversi, soggetti diversi, in circostanze diverse, e con gesti e cerimoniali differenti.
Una cosa però può dirci questo, chiamiamolo tempismo, tra l’uscita del film e le ancor più brutali escissioni praticate sul cadavere della donna: il Mostro potrebbe aver visto il film, potrebbe aver pensato che il film potesse ispirarsi in qualche modo alle sue gesta, potrebbe essersi sentito meno solo e magari anche giustificato, nel vedere che anche un business come quello del cinema americano “partorisce” idee di morte come la sua mente. L’ego del killer deve essersi sentito appagato, tanto da iniziare a pensare di dialogare con i mezzi di comunicazione di massa: il 1981 è l’anno in cui il Mostro uccide due volte a distanza di pochi mesi.
Questo voler confrontarsi coi mass media (per il narcisismo e la voglia di visibilità) si ritrova in molte altre personalità passate tristemente alla storia come delinquenti seriali: cito nuovamente Zodiac, Jack lo Squartatore (del quale è uscita recentemente una presunta autobiografia, che è dal punto di vista scientifico interessantissima), Unabomber italiano, e molti altri.
A proposito di quest’ultimo: negli anni dell’attività criminale di Unabomber, è uscito un film, uno splatter “amatoriale”, che è circolato solo nelle regioni interessate dagli attentati del dinamitardo, che faceva evidente riferimento alle gesta di Unabomber. Uno dei delitti che viene compiuto nel film avviene all’interno di una chiesa, con modalità che sono in maniera sconcertante similari all’attentato che avviene nella realtà dopo l’uscita del film; anche in questo caso, però, non credo che Unabomber si sia lasciato ispirare dalla pellicola.
Piuttosto, mi sembra più probabile che abbia voluto lasciare un messaggio, un ringraziamento per l’essere stato omaggiato addirittura sul grande schermo.
Non dimentichiamoci mai che la realtà supera di gran lunga ogni qualunque tipo di fantasia.

Giulia Morandini
Criminologa
Università La Sapienza Roma