Sono partiti dal continente africano e sono arrivati in Europa, a gruppi di qualche centinaio di individui. Mossi da necessità ma anche da curiosità: seguire gli animali, immaginare luoghi nuovi rispetto alle distese africane, cercare risorse diverse ma anche uno scambio genetico, ché altrimenti si sarebbe rischiata l’estinzione come accaduto per l’uomo di Neanderthal. Flussi migratori che fanno pensare, per associazione di idee, a quelli attuali. Individui che partono, arrivano, si mescolano, stanziano, viaggiano.
Muove i primi passi da qui il più grande studio di paleogenetica che sequenzia il Dna nucleare mai realizzato finora sull’arrivo dell’ Homo sapiens in Europa e che vede in prima fila, nel gruppo di ricerca internazionale, l’Unità di Ricerca di Preistoria e Antropologia del Dipartimento di Scienze fisiche della terra dell’Università di Siena (la professoressa Annamaria Ronchitelli e l’antropologo Stefano Ricci). I risultati di questa indagine, che ha ampliato di dieci volte il campione di DNA antico appartenente alle popolazioni di cacciatori raccoglitori europee, sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Nature e stanno facendo il giro del mondo. Stefano Ricci ha anche realizzato la ricostruzione grafica di un ipotetico paleoambiente europeo dell’Era glaciale, che correda l’articolo e che potrebbe diventare la prossima copertina della prestigiosa rivista scientifica.
Professoressa Annamaria Ronchitelli, di cosa stiamo parlando?
“Si deve tornare indietro di 45mila anni e considerare uno spazio temporale fino ai 7mila con l’ultima era glaciale d’Europa in mezzo a compiere la selezione naturale: contando su un patrimonio genetico studiato su 51 individui e non più 13, come avevamo a disposizione fino ad oggi – quindi un campione più affidabile – e si ottiene un quadro vivace e dinamico sulla storia genetica dei moderni europei prima dell’introduzione dell’agricoltura. Gran parte delle indagini sono state condotte su due reperti – un dente del giudizio di un uomo e una falange di donna – rinvenute a suo tempo a Grotta Paglicci e che hanno permesso di ottenere la maggior parte delle risposte che abbiamo oggi, con studi sul Dna riassumibili a CSI dell’archeologia”.
Quali le scoperte per le quali la notizia sta facendo il giro del mondo?
“Le scoperte più sensazionali che in parte rivoluzionano tutti gli studi fatti fino ad oggi, sono per lo più tre: dopo un primo popolamento di Homo sapiens, circa 45mila anni fa, che non ha avuto seguito; sui 35000 anni arriva una nuova popolazione che nell’arco di duemila anni tende a sparire a favore di un’ulteriore popolazione la quale andrà a costituire per quasi 12000 anni un’unica identità genetica e culturale europea. In questo periodo infatti ritroviamo utensili, riti funebri, sepolture, e manifestazioni d’arte molto simili in tutta Europa.La massima espansione glaciale di 20 mila anni fa induce nuovi flussi migratori che riportano in gioco il patrimonio genetico perduto 35000 anni – ha spiegato la professoressa Ronchitelli – . La seconda grande sorpresa è arrivata con un altro ‘turnover‘ di una popolazione finora sconosciuta. L’analisi ha dimostrato che, a partire da circa 14mila anni fa, gli europei hanno iniziato a mostrare una relazione genetica con le attuali popolazioni del Vicino Oriente. Quindi sappiamo quando e come gli europei acquisirono il Dna dei gruppi di quell’area, ben 6mila anni prima dell’introduzione dell’agricoltura avvenuta nel Medio oriente. La terza novità è la scoperta che la componente genetica neandertaliana presente nel genoma della nostra specie si è ridotta (dal 6% dei campioni antichi al 2% odierno) probabilmente perché essa è risultata evolutivamente svantaggiosa. Prima di questo lavoro, abbiamo avuto una visione statica dei primi 30 mila anni della storia dell’uomo moderno in Europa. Ora possiamo cominciare a vedere come i gruppi si síano spostati e mescolati tra loro in questo periodo”.
Da questo mescolarsi di individui, incroci e spostamenti si è modellata la nostra identità genetica odierna.
Inoltre, rispetto ai primi Homo sapiens arrivati in Europa, alti e scuri di pelle (retaggio di un’antica origine africana) gli Europei oggi hanno acquisito caratteristiche quali carnagione chiara e statura più bassa, tipiche di un ambiente con un irradiazione solare minore.
I flussi migratori che ancora interessano il nostro continente continueranno a modificare i nostri geni e a rimodellarli, essi rappresentano la base della nostra storia evolutiva, e rendono la nostra specie vincente oggi come migliaia di anni fa.
Katiuscia Vaselli
(ha collaborato Arianna Falchi)