Palio

Antonio Trifone (Drago), un economo da record

Antonio Trifone è stato 23 anni economo del Drago. Non solo, bisognerebbe aggiungere a questo conto anche i giorni da vice economo. La sua storia è quella di un contradaiolo davvero alla “vecchia maniera”, generoso e compagnone.

Ci sono persone che danno tutto di sé e non chiedono nulla in cambio. Antonio Trifone è una di queste. I suoi 23 anni da economo del Drago se non sono un record poco ci manca. Le soddisfazioni sono state tante, visti i 5 Palii e 3 Masgalani vinti. Ma quello che è gioia e divertimento per molti, per gli economi è fatica. Antonio, di certo, ha avuto il fisico giusto per sopportare questi impegni, perché è sempre stato un “omone”. La sua stazza e il suo sguardo fiero, delineato da una barba moresca, gli hanno permesso, non a caso, di indossare per circa una quarantina di volte l’armatura da duce del Drago. In tanti se lo possono ricordare impegnato a montare i braccialetti, con il suo gilet multi tasche, la camicia a mezze maniche e un mazzo infinito di chiavi agganciato ai pantaloni. C’è chi dice che su qualche scala ci si sia anche addormentato, tanto le sentiva sue, quasi familiari. Ora, a 69 anni, è un po’ acciaccato nel fisico ma non nello spirito. Questo è quello generoso di sempre, di chi sa stare in compagnia.

Cosa vogliono dire 23 anni da economo?
«All’inizio era bello, perché eravamo pochi e ci si divertiva. La Contrada negli anni ’80 non era quella di oggi. Eravamo sempre i soliti. Negli anni ’70 ho fatto il vice economo per 5 anni con il Valigi. Poi per un paio d’anni sono stato addetto ai giovani, per diventare economo nel ‘79, fino al 2002. E’ stata una cosa lunga, dura e perigliosa, perché la Contrada dovevamo “rifarcela”, visto che i locali mancavano».

Quali sono state le difficoltà?
«Ad esempio come magazzino noi utilizzavamo la stalla in fondo a Palla a Ccorda, dove mettevamo le seggiole e i tavoli quando non correvamo. Ogni tanto si rompevano le tubazioni del cinema e si allagava tutta la stalla. Noi dovevamo togliere tutto, pulire e rimettere la roba al proprio posto. In seguito, prima di andare ai Voltoni, il magazzino lo “rubavamo” ai frati nel Chiostro di San Domenico, dove sfruttavamo un risega, coperta da un muro finto, dove mettevamo le seggiole.

Poi c’era il problema delle monture, perché stavamo aumentando di numero. Se c’era uno che portava la cinquanta di taglia provavo a convincerlo che in realtà la quarantotto era più adatta…»

Il coordinamento degli economi come è nato?
«Fu un’idea dell’economo della Torre Alfio Andreini. All’inizio avevo avuto dei dubbi, anche perché ognuno aveva i propri segreti che non voleva condividere. Poi le cose cambiarono e si incominciò a stilare un elenco dei fornitori per comprare le cose a meno».

Come vivevi il giorno del Palio da economo?
«Pensavo per prima cosa a preparare i monturati. Il secondo pensiero, se si correva, andava a quello che avrei dovuto fare in caso di vittoria, tipo andare a riprendere gli armadi nel Palazzo Comunale per poter vestire la comparsa il giorno dopo. Le cose da fare erano davvero tante. A Palio vinto a letto ci sono andato poco, quasi per niente!»

I giorni seguenti a un Palio vinto devono essere stati un bell’impegno per l’economato…
«Il dramma vero c’era alla fine dei festeggiamenti. Avrei voluto volentieri una commissione per lo “sdobbo”, perché quando c’era da smontare le feste e le cene delle vittorie sparivano tutti.

Cosa è significato vincere tre Masgalani da economo?
«E’ stata una bella soddisfazione, perché la comparsa l’avevo scelta io. Ora quelli che si devono monturare vengono scelti da più commissioni, ma prima era un’esclusiva dell’economato. Io facevo delle grandi litigate con i priori e i capitani, perché volevo far vestire solo persone che avevano dato una mano durante l’annata. Mi dicevano, indicandomi un nome, “guarda che quello lì potrebbe…” e io finivo la frase con un perentorio “… potrebbe venì! Quando viene (a lavorare) si veste, se non viene non si veste.” Un altro passaggio fondamentale per potersi monturare per la passeggiata storica era sopportare la vestizione per il Mangia».

Un tempo, non so se viene ancora fatto, per gli economi c’era l’usanza di bere un po’ di cognac nell’Entrone prima della Carriera. Come mai?
«Nacque una volta che vinse il Nicchio. Entrando in Duomo nei giorni prima del Palio avevo detto agli economi del rione dei Pispini “questa volta vincete voi… e se succede portate una bottiglia di cognac!”. Vinse proprio il Nicchio e quindi dal Palio dopo i suoi economi incominciarono a offrire il cognac agli altri».

A proposito di Entrone… gli economi guardano il Palio da lì davanti, accanto alla Cappella. Toglimi una curiosità, ma cosa si vede?
«Non si vede niente! Da lì ti puoi accorgere solo se sei rimasto “ritto” quando ti passano davanti i cavalli. Senti i boati, ti affidi a quelli. Mi ricordo che con Ogiva nel ’86 me lo dissero gli altri che s’era vinto. Nel 1996, invece, fui io a dirlo all’economo del Bruco».

Da quando eri ragazzo com’è cambiata la vita contradaiola?
«Un tempo conoscevi tutti. Andavi in Piazza ed era un continuo salutare. Per le cerimonie ci vestivamo sempre i soliti diciassette. Una volta per Santa Caterina mi dovetti monturare tamburino, io che sono alfiere, perché il Campanini babbo non si volle vestire. Io all’inizio mi rifiutai, ma alla fine cedetti perché non si poteva non andare. Il tamburino del Montone, che ci precedeva, mi urlava, da quanto suonavo male, “Mi butti fuori tempo!”. Anche una vecchiettina mi riprese, tanto da dirmi “O Drago…nel tamburo c’è anche la pelle”. Alla fine, non so come, si riuscì anche a fare la sbandierata. Me lo ricordo come fosse ora. La differenza fra allora e oggi è proprio in queste piccole cose».

Emilio Mariotti

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