Giuliano Ghiselli racconta Siena e le contrade, i cambiamenti che sono avvenuti sopratutto nei contradaioli e ci parla di quell’importante senso dell’umorismo che lui, ancora, continua a cercare nelle persone.
Il rione che si sveglia ogni mattina nell’allegria del popolo, quel non avere nulla, ma sentirsi dentro talmente ricchi da aver bisogno solo di una risata e un’avventura. Giuliano Ghiselli lo conoscono tutti. A tutti è capitato di vederlo in televisione, intento a raccontar la storia di un vicolo o a condurre la tombola con le domande sul Palio e su Siena. Ma oltre all’uomo di sprito e di spettacolo, c’è un contradaiolo del Bruco che la contrada la pensa, la ragiona e poi la vive con il cuore allegro, l’umorismo che ha allietato anche gli anni più bui della contrada e quell’intelletto sempre attivo, vispo, a cui si dovrebbe attingere più spesso. Mani sempre attive, piedi sempre in movimento, non è mancato nulla nella storia di un contradaiolo innamorato. Giuliano è amore. Per la contrada, per gli amici presenti e scomparsi, per la famiglia, per la nipote che ci fa compagnia e lo guarda come si guarda un grande eroe e lui, con l’immancabile pipa e il linguaggio forbito, racconta di un Bruco e di una Siena lontana, quando a vincere era il senso dell’umorismo e non si aveva molto, ma si stava bene.
Giuliano Ghiselli, una vita in contrada, tante cose fatte…
“Esatto. Nella mia vita contradaiola ho fatto di tutto, sono entrato in Piazza nel popolo, come duce e sono stato alfiere con Beppe di Bedo dal ’56 al ’65… avevo 14 anni quando si vinse il Masgalano! Poi ho girato come tamburino perché in quegli anni ne avevamo pochi, sono stato barbaresco di Piazza e paggio per innumerevoli funerali e matrimoni. Ho fatto il banditore della tombola, organizzatore di recite come ‘La Boeme vole il su sfogo’ o ‘Il mio sax’ e poi tanta, tanta manovalanza, che non può mai mancare. Per il primo Ba’o Bello, vestito di tutto punto con lo smoking, mi hanno messo a gestire il montacarichi da muratore che portava i piatti nella vecchia terrazza dove mangiavano gli ospiti. Ho seguito vari Ondeon nei primi degli anni ’80 e due adesso, di recente. Tanti articoli per il giornalino di contrada, il Barbicone: su richiesta dell’onorando rettore ho scritto anche un articolo sui dentisti! Tutto questo non è un curriculum, perché i curriculum servono per essere assunti e io, dal Bruco, sono ‘assunto di nascita’, nato sotto le bombe degli alleati, in via del Comune, a 30 metri dalla società!”
In tutto questo, mai un incarico dirigenziale.
“Mai. Io di vocazione sono popolano e me ne vanto. Non ho mai avuto cariche, anche perché in tempi passati ci volevano i soldi e io non ne avevo. Una volta, Olinto Barducci – al tempo capitano – e Ruggero Falchi mi chiesero di fare il mangino, ma io rifiutai sempre per questa mia vocazione popolana. Sai, questo mi ha portato un grande vantaggio: ho saputo cogliere la cultura popolare fatta dal ceto più basso, talmente simpatica e godibile che i ‘grandi scienziati’ neanche se la immaginano!”
Crede che la simpatia, il senso dell’umorismo, sia parte fondamentale dello spirito contradaiolo?
“Certo che sì. Il senso dell’umorismo è una grande dote, tutt’ora vado alla ricerca in Siena di chi è in grado di produrlo e subirlo. E’ una caratteristica fondamentale e unica senese, toscana e contradaiola”.
Questo può ricondurre anche alla goliardia delle Feriae Matricularum di cui ha fatto parte…
“E’ un’esperienza che mi ha arricchito molto. Diciamo che quello era un ambiente in cui viveva una goliardia più d’elite. Io fui praticamente costretto da Paolo Nativi che mi volle tra loro in tutti i modi… Diciamo che io ero iscritto all’università per altri motivi, però mi gradirono molto e per 6 anni sono stato protagonista nell’operetta”.
(Giuliano Ghiselli e Beppe di Bedo)
Com’era entrare in Piazza con Beppe di Bedo, contradaiolo rimasto nella memoria di brucaioli e non solo?
“Beppe è stato un paladino del Bruco, la sua presenza metteva difficoltà a qualunque gruppo o contrada. Con lui, bisognava imparare i cenni, perché parlava a gesti difficili da leggere, spesso intraducibili… Bisognava intuire! E anche in quelli, nei soli gesti, c’era un’ironia, un umorismo spiccato”.
Negli anni, le contrade sono state soggette a cambiamenti, evoluzioni, ed oggi c’è un certo scontento. Che ne pensa?
“Già molti anni fa manifestai intolleranza per la perdita di valori e per i cambiamenti che si stavano manifestando. Per un periodo mi sono addirittura dovuto appartare per non partecipare alla diatriba, ma alla fine ho digerito il tutto, anche se oggi chi mi contrastava è venuto a darmi ragione… Che me ne fo’ io della ragione dopo cinquant’anni?”
E i cambiamenti, purtroppo, ci sono anche nel Palio…
“Ho l’impressione che il Palio sia scivolato di mano a capitani, dirigenze e contrade, finendo nelle mani dei fantini. Come dire… i soldacci trionfano!”
Ormai, è difficile ‘nascere e crescere’ in contrada. Cosa manca alle nuove generazioni?
“Ti racconterò quello che ho registrato proprio con Ondeon. Due anni fa, rispolverai ‘Miseria e Nobiltà’ degli anni ’80. Ecco, mi raccomandai con quei 20 ragazzi protagonisti di due cose: di parlare a viva voce, perché i bambini in teatro non si sentono… E di recitare con enfasi, con grinta da combattente perché si parlava di Barbicone. Da come si esibirono, capii perfettamente chi aveva il babbo, la mamma o i parenti del Bruco. Furono tutti bravissimi, ma chi aveva ricevuto l’insegnamento brucaiolo si distinse in particolar modo”.
E i più grandi, invece?
“E’ difficile contestare i ventenni o i trentenni perché non hanno avuto l’istruzione dovuta. C’è una generazione di mezzo che presuntuosamente si considera già ‘imparata’”.
Per quanto riguarda il Palio, invece, ultimamente sta subendo attacchi esterni da parte di più fronti… Qual è la causa?
“E’ da tanto che sostengo che un po’ di male ce l’ha fatto la Rai, perché ha messo in evidenza il Palio, quando il Palio già si metteva in evidenza da solo. Così facendo, si sono inasprite città che già avevano una loro giostra, ti parlo di posti come Marostica, Arezzo o Asti, che la Rai trasmette la notte, mentre il Palio viene mandato in diretta. Da questo nascono anche altri problemi: una cosa che mi disturba molto è che Siena, nel mondo, sia connotata solo con il Palio. Questa città contiene dei tesori in grado di comprare gran parte d’Europa e non lo dico solo io, vado sulla scia di esperti e grandi critici d’arte. Abbiamo un’Università di prestigio europeo, abbiamo l’Accademia Chigiana che se vai a Buffalo o a Boston e dici di essere un musicista che viene da Siena ti dicono subito ‘Ah, Chigiana!’. Qui abbiamo un patrimonio incredibile”.
(Sergio Ghiselli vestito da fantino insieme al Ghelle, a Sturla cavalla vittoriosa e al Palio del 1955)
Che contradaiolo è Giuliano Ghiselli?
“Sono un contradaiolo in pace, perché credevo di morire senza veder vincere il Bruco all’infuori del ’55, quando avevo 13 anni”.
C’è un contradaiolo che ricordi con particolare affetto?
“Il mi’ babbo, Sergio! Un grande maestro di contrada, ha scritto anche l’inno del Bruco. E poi Paolo Nativi… sua mamma morì di parto e lui è vissuto con gli zii giraffini ma nonostante la lontananza ha voluto essere ostinatamente del Bruco! Sai, per tornare al discorso delle cariche, ormai sono troppi quelli che si avvicinano alla contrada solo con lo scopo di conseguire posizioni vantaggiose. Al riguardo, il motto della mia famiglia recita così:
‘Alla Contrada bisogna sempre e solo dare e il premio unico e definitivo è il grande privilegio di aver potuto dare‘”.
Arianna Falchi