Seimila euro per condividere il pasto con Pescia a Castiglion Fiorentino, gli sbandieratori di Volterra e l’associazione Carnevale di Castiglion Fibocchi, la festa medievale di Monteriggioni e il palio dei ciuchi di Asciano: l’elenco è lungo, soltanto la “linea 2” dei contributi della Regione Toscana conta cinquanta beneficiari e il Palio di Siena è uno di questi. Una lista di rievocazioni storiche in cui la Festa non c’entra proprio niente, per definizione.
Se si pensa che poco più di di 20 giorni fa il governatore della Regione Eugenio Giani, ospite del Comune per la Carriera aveva dichiarato “il Palio di Siena diventi patrimonio mondiale e immateriale dell’Unesco, credo che sia arrivato davvero il momento”, è paradossale finire in un elenco simile. E non perché sia una novità, questo va detto: per essere precisi, il Comune di Siena chiedeva sostegno alla Regione già negli anni Settanta e Ottanta e senza far parte di alcun elenco. La Regione contribuiva all’epoca con cifre di pochi milioni di lire, equivalenti dei 6mila euro odierni (fatta eccezione per qualche anno in cui i contributi arrivarono a 24 milioni di lire).
Poi arrivò il periodo d’oro di Banca e soprattutto Fondazione Monte dei Paschi e di questo contributo non ci fu più bisogno.
Di tornare a rivangare un periodo che non esiste più, una bolla d’oro entro la quale viveva l’intero territorio non c’è necessità e tantomeno voglia, sarebbe dare spazio a quanti hanno rubato il futuro delle nuove generazioni, di questa città, della provincia e ben oltre. Quello che interessa, dunque, è riflettere sul fatto che il Palio di Siena torni a fare i conti con la realtà esattamente come il resto del tessuto sociale è tornato a fare.
Siena, ha detto Giani lo scorso 2 luglio, è “una città che sente forte il senso di appartenenza fisica a una bandiera, a una piazza, a un inno, quello della propria Contrada, e che più di altre ha scelto di anteporre la forza secolare della socialità al distacco della frenesia moderna. Ammiro questa peculiarità dei senesi e, permettetemi, di tanti toscani, fieri delle loro tradizioni e disposti a difenderle sempre”. Giani ha ragione, tanto che nel 2019 arrivò a Siena Katia Ballacchino, antropologa inviata dal Ministero della Cultura, e iniziò un’attività d’indagine accurata e complessa tesa a individuare le modalità migliori per la dichiarazione di interesse culturale, per portare avanti la candidatura del Palio di Siena come patrimonio immateriale culturale nazionale L’emergenza Covid ci ha messo del suo e al momento risulta ancora sospesa – ma non decaduta – l’indagine del Ministero per poter avanzare la proposta.
Nel frattempo però il tempo passa e il Palio si trova a dover fare i conti, dicevamo, con la realtà: il Comune spende circa 700mila euro l’anno per l’organizzazione della Festa, cifre che vanno in gran parte a coprire naturalmente personale e straordinari (orari e giorni festivi).
Così, tanto per fare un doveroso passo indietro, al Comune arriveranno seimila euro dalla Regione nell’ambito del bando sulle rievocazioni storiche: l’Amministrazione aveva infatti presentato domanda per la “linea 2” (cioè contributi senza presupposto di co-progettazione) che scadeva lo scorso 8 maggio e da Firenze arriveranno 3mila euro a palazzo pubblico sotto forma di “Contributo di spese correnti”. L’altra metà invece arriverà come “Contributo di spese investimento”.
Va tutto bene ma se si vuole puntare alle stelle bisogna guardare in alto. Sempre. Non trovarsi a chiedere elemosina abbassandosi a entrare nell’elenco di rievocazioni storiche. E nonostante ci sia bisogno di sobrietà anche nel Palio e nelle Contrade, questo è altrettanto evidente, concludere l’indagine del Ministero della Cultura e lavorare bene sulla candidatura ci sembra più che mai urgente e doveroso.
Katiuscia Vaselli