La faziosità contradaiola non ha limiti o confini

Succedeva tanti anni fa.

Io ero una matricolina dell’Università di Firenze (Facoltà di Lettere e Filosofia). Era l’anno accademico 1969-1970: avevo conseguito la maturità classica a luglio; a agosto aveva vinto la mia contrada e nello stesso mese avevo cominciato a fare conoscenza diretta con quella che sarebbe stata per i prossimi anni la mia seconda città.

Cominciai a frequentare nel novembre (quando iniziavano, all’epoca le lezioni) insieme a un plotoncino di altri studenti di Siena, (Ernesto Ragionieri ci chiamava “la colonna senese”, perché gli si arrivava a lezione tutti insieme).

Io sfoggiavo orgoglioso un distintivo (d’oro) del Nicchio, largo quanto l’unghia di un pollice. Una conchiglia con i suoi racemi di corallo e la corona. La fattura era stilisticamente così così, un po’ piatta, e chi non sapeva di che si trattava doveva decodificare la figura. Riccardo Francovich, allora fresco laureato che muoveva i primi passi nella carriera universitaria, diceva che era un paracadute con la corona, e da allora – anche quando poi siamo diventati colleghi nell’ateneo senese – mi chiamava “il paracadutista monarchico”.

C’ero abituato e quando qualcuno mi chiedeva che cosa fosse quel cimicione d’oro spiegavo pazientemente che io sono di Siena, io sono contradaiolo, questo è l’emblema della mia contrada, la mia contrada è il Nicchio, il Nicchio ha una conchiglia, sopra la conchiglia c’è una corona, quelli ai lati sono la raffigurazione dei rami di corallo. A questo punto della spiegazione l’interlocutore s’era bell’e annoiato e aveva smesso di ascoltarmi. Mi c’ero abituato.

Capita che, nel mio piano di studio, ci fosse da sostenere l’esame di Storia Contemporanea, una materia prevista per il curriculum ma che a Lettere e Filosofia, all’epoca, non c’era, perché la Facoltà doveva seguire la normazione nazionale, per la quale (grazie a don Benedetto Croce) la storia non può essere contemporanea, perché il contemporaneo non si narra con la storia ma con il giornalismo. Così, per esempio, grazie a questa geniale idea del nostro Padre Nobile del Pensiero Italiano, un grandissimo contemporaneista come il già ricordato Ernesto Ragionieri insegnava una materia che, nei contenuti, era fatta di storia della contemporaneità, ma che si nominava Storia del Risorgimento.

Quindi  la Contemporanea (quella con il suo nome vero) si doveva fare ma si andava a sostenere l’esame a Magistero (come si chiamava allora) dove la storia dei tempi contemporanei era già stata ammessa nel curriculum protocollare. Misteri dell’Università pre-riforma.

Si poteva sostenere come esame – si chiamava allora – “liberalizzato”, l’equivalente dell’esame sostitutivo di oggi: quello in cui puoi non seguire le lezioni e vai a fare direttamente l’esame su un programma di letture.

A insegnare Storia Contemporanea a Magistero c’era un signor padreterno della storiografia: niente di meno che Roberto Vivarelli. Di lui sapevo che era un grande intellettuale, un grande storico, che aveva scritto testi importanti, che aveva una biografia politica controversa perché era stato un repubblichino di Salò, ma che, comunque, era rispettato da tutti perché il rispetto se lo meritava.

Non sapevo altro. E questo mi fregò.

Vado lì, addobbato nella mia giacca blu scuro ornata del mio cimicione nicchiaiolo all’occhiello. Facciamo l’esame: su alcuni punti bene, su altri benino. Mi dà il libretto? chiede Vivarelli. E mentre si accinge a scrivere il voto mi fa: cos’è quella cosa che ha all’occhiello? E io ricomincio il mio spiegone: io sono senese, sono contradaiolo, questo è il simbolo della mia contrada, la mia contrada è il Nicchio…e lui mi ferma. “Io sono del Montone”. E mentre io resto lì come un bischero, lui mi fa “Il suo esame è fra trenta e ventinove, ma siccome lei è del Nicchio e io sono del Montone, lei prende ventinove”.

Lo adorai: gli strinsi la mano e gli risposi “E’ sacrosanto così, professore. Grazie”.

Per me Vivarelli, oltre che come un maestro della contemporaneistica, mi è rimasto nel cuore per essersi dimostrato un meraviglioso, fantastico, fazioso senese contradaiolo.

Ah: se vi state chiedendo se, quando in cattedra all’Università ci sono andato io, ho fatto lo stesso in situazioni simili con studenti senesi del Montone, la risposta è assolutamente sì! Eccheccavolo!

 

Duccio Balestracci