Palio

Quando fare il fantino non era un “mestiere”

Il fantino è, subito dopo il cavallo, il protagonista di ogni Palio.

Nella storia paliesca ne troviamo di giovani (a volte giovanissimi): Mario Bernini (Bachicche, 1837-1902) esordisce a 13 anni e 5 mesi e solo qualche mese di differenza gli consente di detenere il record della precocità, insidiatogli da vicino dalla prima corsa di Francesco Santini (Gobbo Saragiolo, 1809-1865).

Pietro Tarquini (Bicchierino, 1827-?) esordisce a 16 anni e vince solo nel luglio successivo, correndo in preda ad un attacco di panico isterico (è interessante notare che la sua vicenda, probabilmente anche per la sua oggettivamente giovane età, viene riscritta in forma romanzesca dalla tradizione popolare che vuole che Bicchierino abbia riportato la vittoria dopo essere stato nerbato ferocemente dagli avversari, tanto da spirare non appena sceso da cavallo. Pura leggenda, perché il Tarquini corre il palio fino al 1850 ed è ancora vivo nel 1853).

Fare il fantino non è certo (ancora) un mestiere perché nella stragrande maggioranza dei casi quello di fantino del palio è un lavoro che si assomma ad altri che li fanno vivere: fra ‘700 e ‘900, la maggior parte di essi esce dalle fila dei vetturini, dei corrieri delle poste, dei domatori e commercianti di cavalli, dei barrocciai e degli stallieri. E se queste sono occupazioni che, comunque, hanno contiguità con il mondo delle stalle, per altri correre il Palio è un’attività occasionale che si limita ai giorni delle feste di luglio e agosto: le loro sono, infatti, biografie umilissime di mugnai, spazzini, macellai, strascini, facchini, fornai, pastai pesciaioli, calzolai, fornaciai, trecconi, disoccupati.

Non pochi di questi personaggi, peraltro, pescano nel sottobosco della vera e propria delinquenza. Di Pettiere (al secolo Giovan Battista Paradisi) che corre fra il 1807 e il 1814, definito “vagabondo e con poca voglia di lavorare”, si sa che, a parte essere un ladro di maiali, reato che lo porta davanti al tribunale, fa il treccone, il contadino, il capitano dei segatori “e tutto ciò che posso per vivere” e, poi, il fantino (peraltro vittorioso nel 1811 nella Torre). Adamo Bracali (Vecchio, 1799-1866), protagonista sfortunato di 15 carriere, presenta una fedina penale da incubo, costellata di furti, risse, ubriachezza molesta, atti osceni, sfruttamento della prostituzione e, per completare il quadro, uxoricidio. Al suo confronto, impallidisce perfino quella di Agostino Viligiardi (Cilla, 1819-1856) che si definisce “facchino e fantino di mestiere”, vittorioso nella Giraffa nel 1852, finito davanti al magistrato con l’accusa di adescamento e di pedofilia.

Per saperne di più: Duccio Balestracci, “Il Palio di Siena. Una festa italiana” Laterza 2019

marco crimi

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