Riccardo Pagni, storico capitano del Bruco che nel 1996 portò la sua contrada a rompere un digiuno lungo 41 anni, racconta il Palio visto dagli occhi di un capitano e il suo essere un contradaiolo passionale ed irruento, rimasto invariato negli anni.
E’ incredibile quanta vita possa celarsi dietro un paio di occhi. Quante storie, quanti piccoli avvenimenti che diventano enormi se vissuti con lo spirito giusto, con la voglia di far qualcosa di grande. Riccardo Pagni è un contradaiolo del Bruco, uno alla vecchia maniera, avvocato di professione e brucaiolo nella vita, ha conosciuto il Palio che tutti amiamo ricordare, quel famoso “Palio di una volta” che sembra non esistere più. Riccardo ha sempre un aneddoto da raccontare, una storia di vita e di contrada che diverte quanto insegna, un archivio di belle avventure contradaiole che lui ama tramandare, specialmente ai giovani. La storia d’amore tra Riccardo e il Bruco dura da tutta una vita. Riccardo Pagni è storia. Nel 1996, dopo 41 anni, il Bruco torna a vincere il Palio. Nel 1996, Riccardo Pagni, capitano del Bruco, riesce a svegliare il suo popolo da un incubo durato fin troppo. Oggi, vent’anni dopo, lui si sente sempre lo stesso contradaiolo “irruento, appassionato e passionale”.
Riccardo Pagni, il 1996 è un anno importante sotto molti aspetti: il Bruco rompe un digiuno di 41 anni e Luigi Bruschelli vince il suo primo Palio. Inizia il cambiamento?
“Inizia a muoversi qualcosa, ma il vero punto di rottura avviene soltanto con la vittoria del Bruschelli nel 2000. Da quel momento in poi, le carriere del Pesse e di Cianchino vanno verso la fine e si crea una situazione in cui c’è uno più bravo di tutti gli altri, un po’ come successe con Aceto anni prima, anche se con modalità diverse”.
Come stanno cambiando il Palio e le contrade?
“Il mondo contradaiolo si modernizza secondo le esigenze della società, anche se lo fa con un certo ritardo: la nostra è una realtà conservatrice in cui sopravvivono valori nobili come l’amicizia, la famiglia, la solidarietà ed il grande rispetto tra generazioni diverse e anche per chi non è un nostro parente. Purtroppo, quando le contrade si adeguano alla società, perdono parte della loro vita essenziale, di questi valori tanto importanti. Quando ero ragazzo, i giovani non stavano con i giovani, ma si affidavano agli adulti per imparare la contrada e gli adulti la insegnavano: oggi, questa modalità non esiste più. Non è solo il Palio ad aver subito dei cambiamenti”.
Cosa pensa degli avvisi di garanzia arrivati ai contradaioli dopo i fronteggiamenti dell’agosto 2015?
“Non capisco perché le indagini partano soltanto adesso. Forse qualcuno ne ha parlato troppo, anche nella pubblica amministrazione: avendo rizzato questo gran polverone, alla fine è stato impossibile che non vi cadessero occhi esterni”.
Il capitano è sempre stato visto come una figura quasi ‘mistica’, il condottiero che guida il suo esercito alla battaglia. La vita contradaiola cambia molto quando si ha questo ruolo?
“Fare il capitano ti da una responsabilità enorme, ma anche una gioia maggiore degli altri. Per quanto mi riguarda, non ho vissuto diversamente la mia vita contradaiola: ci sono sempre stato talmente tanto che era impossibile cambiare qualcosa nel mio approccio alla contrada. Ho cercato di non imporre autorità, avevo un ruolo e l’ho svolto. Una volta finito, sono tornato a fare il contradaiolo semplice, ma non è cambiato nulla, anzi, ho avuto esperienze bellissime anche con i giovani, specialmente per i musical che abbiamo portato al Teatro dei Rozzi“.
Però, fare il capitano del Bruco in quel periodo era un compito particolarmente pesante…
“Una responsabilità grandissima e fin quando non abbiamo vinto non c’era da cambiare atteggiamento. Dopo, con quella gioia immensa portata dalla vittoria, siamo cambiati tutti insieme, tutta la contrada… ”
A parte la vittoria del ’96, qual è un altro ricordo di Palio che torna prepotentemente alla memoria?
“Indubbiamente il Palio di Arianna dell’agosto 1967. Il Bruco fece letteralmente 5 giri primo, con 3 mosse false, più quella buona. Nei giorni prima della carriera, ci sentivamo come se avessimo già vinto… Arrivati al Palio, tutti si aspettavano la vittoria e al terzo giro il Bruco va’ a dritto a San Martino. Ricordo la delusione… Avevo 13 anni ed ero arrabbiato, ma la rabbia mi ha fatto appartenere ancora di più alla mia contrada. Un altro ricordo molto forte è dedicato ad un contradaiolo: a Beppe di Bedo, con il quale ho avuto un trascorso di vita intenso, oltre al fatto che ha portato Rose Rosa la cavalla vittoriosa nel ’96”.
Oltre alla contrada, le Feriae Matricularum. E’ stato difficile conciliare queste due realtà tra cui, spesso, si sono creati attriti?
“Sono entrambe due tradizioni, una di matrice popolare, l’altra culturale. Essere goliardi non è solo dissacrare e far ridere, la goliardia è dire cose importanti con ironia, conquistare e mantenere la propria libertà di uomo e la propria indipendenza, senza piaggerie e senza piegarsi a nessuno. Sono due delle tradizioni più antiche di Siena e ti posso dire che molti grandi capitani sono anche stati grandi principi delle Feriae”.
Oggi, che contradaiolo è Riccardo Pagni?
“E’ un contradaiolo irruento, appassionato e passionale. Fedele e tradizionale nella vita di contrada. Subito dopo la mia famiglia, c’è quest’altra famiglia, la contrada… E’ uno dei temi dominanti e più gratificanti della mia vita”.
Il Palio in una frase…
“La potenza e l’irruenza per la vittoria”.
E’ molto in stile Barbicone.
“Vedrai, è da lì che si viene. Nel Bruco siamo fatti così!”
Arianna Falchi