Senti come cambia l’aria di Siena, per il Palio

Senti come cambia l’aria di Siena. Senti l’emozione che colpisce leggera e birichina, piena di un brivido di eccitazione. Senti i tamburi: arrivano, colonna sonora inestinguibile che scandisce ogni istante della festa. L’aspettativa, i pronostici: ognuno annuncia la propria profezia. È l’onda, è la tartuca! No, guarda che scatto il cavallo della pantera! Per giorni il cicaleccio riempie le strade di commenti che si ripetono uguali e sempre diversi, in un’abitudine dal sapore antico e la veste nuova. Un sapore che non passa mai di moda. Ti guardi attorno, disorientato. Cerchi di cogliere e di capire, ti sforzi. Invano. Allora abbandoni, pensando che non capirai mai. Lasci andare la città che corre verso la sua carriera. Nei suoi riti vecchi di secoli che non sembrano essere passati.
Finisci per ritrovarti coinvolto, senza accorgertene. A guardare i cavalli con il cuore che freme. Il cervello, finalmente libero di non pensare, registra, coglie, si stupisce, si lascia trasportare in un tumulto regolato, un tumulto che sembra salire di giorno in giorno e poi rapido, sempre più rapido. Come un’onda, anzi un uragano. O, forse, è la cavalcata, il rumore inconfondibile degli zoccoli sul tufo ad arrivare da lontano. Eccoci: è il giorno del Palio. La piazza attende e i contradaioli accorrono. Il Casato diviene il dietro le quinte di un teatro in cui sta per andare in scena uno spettacolo unico al mondo, fatto di emozione rara e piena, che non ammette repliche né mezze misure. Escono i cavalli dall’entrone di Palazzo Pubblico. Cala il silenzio. Totale tanto da risultare assordante. La piazza ammutolisce, pare un corpo dotato di un solo cuore e una sola anima: tutti nello stesso istante provano la stessa cosa. Chi non tace è fatto tacere e muti si attende l’ordine dei cavalli. La piazza trattiene il respiro.
Torre. Aquila. Bruco. Leocorno. Selva. Civetta. Tartuca. Pantera. Giraffa. Onda di rincorsa.

Un tempo lungo, tanto. La Tartuca che non corre.

La piazza esplode in un urlo che copre ogni cosa, divora emozioni che si esauriscono nello spazio di un secondo per rifiorire l’istante successivo. I cavalli fanno il loro ingresso nei canapi. Uno alla volta. Lentamente. Inizia la guerra tra le contrade: l’ordine non si rispetta. Allora dentro e fuori e fuori e dentro. E la carriera tanto sospirata si fa attendere. Persino il sole, stanco della lunga giornata sta per abbandonare la piazza. Dopo un turbinio di grida, fischi, applausi, i cavalli partono per uno… due… tre giri. Tre giri sofferti da tutti in un’ansia che divora. Alla fine è Giraffa. La piazza si spezza, smette di essere un’anima sola; la conchiglia si apre e fa uscire la sua perla: la giraffa che accorre in un urlo di gioia. Corrono tutti in ogni direzione. C’è chi salta, chi piange di gioia, chi non riesce a crederci, chi piange di dolore. Tutto è autentico, niente è esagerato. Il Palio ti fa sentire vivo.
Ora via, la contrada accorre festante con il fantino sulle spalle, eroe di questa corsa. Baciato, abbracciato, osannato, nemmeno lui sa che fare o dire e, travolto da un’emozione troppo grande per essere raccontata, si lascia trasportare, sudato ma con un’inestinguibile sorriso sulle labbra. Carico di orgoglio. Si ringrazia la Madonna di Provenzano con una preghiera corale in cui i pugni alzati danno vigore alle parole; le bandiere ondeggiano sulle teste del popolo della contrada e suonano i tamburini, eterni e instancabili accompagnatori.

Ora si sa qual è il sapore della felicità.
Valeria Faccarello