Ci muoviamo sul filo di una canzone sussurrata, una lieta melodia che traccia la storia di una tradizione, che si snoda tra i dolci ricordi di un tempo lontano, ma ancora talmente vivo da far battere il cuore e scendere le lacrime. Umberto Ceccherini ha 66 anni, è un contradaiolo della Pantera, ha le mani grandi da fabbro e il cuore e la voce leggeri, da artista. Un tenore che sembra ragionare in musica, sorridente, ma duro e schietto quando l’ardore gli muove l’anima, una preziosissima memoria sulla vita di Ettore Bastianini, grande baritono e storico capitano della sua contrada, del quale Umberto conserva un tenero ricordo d’infanzia. Ci troviamo all’Osteria del Bigelli in Piazza del Campo, dove Ela, un’amica, ci accoglie con gentilezza. Durante la nostra chiacchierata, ci raggiunge la moglie, che si siede con noi ad asoltare i racconti e i pensieri di un uomo genuino, innamorato di Siena e delle sue tradizioni. Umberto Ceccherini ci canta il Palio, la Pantera, la bellezza di Siena.
Cos’è e cosa è stato Ettore Bastianini per la Pantera?
“La Pantera è molto legata alla figura di Ettore Bastianini. Ogni anno, ormai da decenni, viene organizzato un concerto in suo onore nella Chiesa del Carmine (anche questo 29 luglio) dall’Unione Corale Senese Ettore Bastianini. Io parteciperò in rappresentanza della mia contrada. Un punto di riferimento continuo, culturale e contradaiolo. Ettore Bastianini era ed è un nome famoso nel mondo, anche se devo dire che Siena si è accorta di lui un po’ in ritardo. Non è mai stato un uomo troppo considerato, perché era estremamente semplice, un contradaiolo cresciuto sulle lastre, di quelli che sono cresciuti giocando per strada. E’ stato anche un capitano “semplice”, ma pur sempre una figura che metteva soggezione, con quella sua grande voce… Ettore Bastianini cantava anche solo aprendo bocca per parlare!”
La figura di Bastianini è stata di ispirazione anche per lei e per la sua carriera nella musica?
“Ti spiego, io ho fatto il fabbro tutta la vita. Sono nato in via dei Mantellini, nella casa sopra alla bottega e la mia infanzia l’ho passata tra casa, bottega e giardino… Proprio in questo giardino, si affacciava la finestra della cucina di Bastianini. Ogni volta che tornava dalle sue performance all’estero, noi s’aspettava Ettore che arrivava con la sua Porsche rossa e mi ricordo che era quasi una festa, lo aspettavamo con trepidazione! Per me è stata una grande fonte di ispirazione, era un personaggio mitico, un uomo prestante, carismatico, con questo tono di voce importante che attirava l’attenzione”.
Il bel canto, lo stornello, il sedersi tutti insieme e cantare per ore… Tutto questo si è un po’ perso nel tempo?
“La musica prima era considerata una compagnia, un aiuto di vita, tanto che i barbieri suonavano tutti uno strumento. Oggi abbiamo questo strano attrezzo di alluminio e quant’altro che si chiama telefono e si sostituisce al canto, alla musica… Di conseguenza, ognuno si illude di poter cantare o magari di essere un fotografo! Ora ci si fa’ un selfie… E non si parla nemmeno più l’italiano! Comunque il canto in contrada manca da più tempo, sempre per un discorso di modernizzazione, contaminato dai suoni di discoteche e locali che sono suoni più semplici, orecchiabili. La semplicità ha portato la gioventù a dimenticare i suoni veri”.
Insieme a questo, sono stati dimenticati anche altri valori, secondo lei?
“Sì, ed è normale. Noi senesi eravamo unici, vivevamo in una città divisa in 17 famiglie! Addirittura, prima si riusciva a riconoscere la contrada di questo o di quell’altro senza saperla e bisogno di vedergli il fazzoletto al collo, perché ogni famiglia aveva le proprie caratteriristiche. Allargando i territori, si sono formate altre culture, si parla meno di contrada. Negli anni ’80 con Umberto Poggiolini detto lo Sgoga, si parlava proprio di allargare i confini… Io ero contrario perché credevo che il Comune gestisse l’unità delle contrade mantenendole all’interno delle mura anche grazie alle abitazioni per i contradaioli nei rioni. Lui mi diceva che le contrade si sarebbero perse andando fuori dalle mura… Aveva ragione”.
Anche le tradizioni paliesche stanno subendo un forte attacco…
“Sai, stare al comando di certe realtà – in questo caso di una città con tradizioni forti che non derivano dalla storia, quanto dal Dna dei senesi – è complicato, se non se ne conosce a fondo la natura. Quindi, chiudere è la forma più immediata di tutela… Ma il senese ha bisogno di apertura, ha le sue regole. Anche i priori devono vivere la contrada, devono essere persone che conoscono i loro contradaioli talmente a fondo da saper prevenire qualunque situazione. Vorrei che Siena fosse gestita da chi la conosce…”
Crede che la colpa sia principalmente nostra?
“Con il nostro amore per la contrada e per il Palio, non ci siamo accorti che a guidare le contrade erano persone che lavoravano tutte nello stesso posto, facendola diventare una contrada sola. Dobbiamo recuperare i popoli nel rispetto delle regole senesi, contradaiole e nazionali”.
Anche le rivalità non sono più libere? Gli avvisi di garanzia arrivati ai contradaioli sono un monito per tutti…
“Se vai in uno stadio e vedi le 2 curve che si fronteggiano, quelle sono risse! I cazzotti nel Palio sono diversi, si fanno a mani nude e anche qui, se si conoscessero le tradizioni, si saprebbe che molta è scena. La gente ha paura che queste situazioni degenerino, ma non succederà mai. A fare i cazzotti ci sono avvocati, notai, medici… musicisti! Che il giorno dopo vanno a lavoro e probabilmente li trovi al bar a prendere il caffè con chi la sera prima stava dalla parte opposta. Il pericolo deriva dalle infiltrazioni di terze persone… ma a Siena non succederà mai! Abbiamo delle leggi, delle tradizioni… e siamo unici per questo. Tra Bruco e Giraffa, ad esempio, la rivalità è conclusa ma resto questo ”nsomma’ che rappresenta Siena perfettamente, è la cosa bella. Finirà quando lo dirà la tradizione, il tempo… Ci sono leggi inspiegabili al resto del mondo”.
Oggi si ragiona meno di contrada?
“Chi non vive la contrada, ha sempre il timore di intervenire. L’umiltà è una giusta cosa, ma in contrada non ci dovrebbe essere bisogno, il contradaiolo si deve imporre, anche se questo può passare male agli occhi degli altri. Sai, mi viene in mente Giuliano Ghiselli del Bruco: caratterialmente, un po’ mi somiglia. Può essere una figura non sempre apprezzata, ma a me piace moltissimo come si comporta, è uno che per Siena potrebbe fare veramente tanto… Purtroppo, le persone che dicono la verità vengono tenute in disparte”.
Qual è la cosa che le piace di più della contrada?
“La stalla! Ho fatto il vice barbaresco per 6 anni. Sei vicino ad un’essenza disinteressata che è l’animale. Lui non sa nemmeno perché è lì, ma ti dà tutto quello che può dare. E’ la figura più importante e quella che mi emoziona di più…”
Che contradaiolo è Umberto Ceccherini?
“Io alla Pantera ho dato lavoro, tempo, famiglia… Non me ne accorgevo nemmeno, era come se fossi in bottega. Ho fatto il vice presidente di società e per me andava sempre tutto bene, solo che da una parte guadagnavo e da questa ci rimettevo. Sai, quando arrivi a una certa età, più matura, alcune cose le senti di più e a 50 anni le dici con più fervore. Solo che a me andare in assemblea a sbraitare non è mai piaciuto, così ho vissuto un momento di vuoto e sono stato lontano dalla contrada per diverso tempo, maturando e imparando qualche aggettivo in più. Ho deciso di tornare perché star fuori è la cosa più sbagliata che può fare un contradaiolo. Comunque, s’è detto tante cose brutte… Si parlasse di quelle belle?”
Parliamone!
“Sai, ogni anno vado a cantare per la Diana. Fanno un lavoro eccezionale, stanno sotto terra e nessuno li vede. Bisognerebbe dargli maggiore risalto, sono fondamentali per questa città!”
C’è un messaggio che le piacerebbe dare ai contradaioli?
“Vorrei fare una raccomandazione: chi ama frequentare fantini e cavalli, si ricordi sempre di appartenere a una contrada”.
Arianna Falchi
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