Alla seconda conversazione del ciclo “Decennali del Novecento”, organizzato dalla Biblioteca comunale degli Intronati in collaborazione con l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea e con il Dipartimento di storia dell’Università, Paul Corner ha svolto il tema: “Le leggi fascistissime e il regime”. Il primo incontro era stato dedicato alla “Rivolta irlandese di Pasqua” ed aveva avuto a protagonista Marcello Flores.
Corner che dal 1987 ha insegnato “Storia dell’Europa” a Scienze politiche ed è ora decano dell’Ateneo senese è tra i più autorevoli studiosi del fascismo e particolarmente delle origini. La sua ricerca sulle origini del movimento dei Fasci nel ferrarese è un classico. Tra le sue più recenti pubblicazioni spicca “Il consenso totalitario” (Laterza 2012). Il docente inglese ha sottolineato in apertura che le leggi approvate tra il 1925 e il ’28 – anno culminante il 1926 – costruirono in Italia un totalitarismo peculiare, meno invadente e assoluto che altrove.
Mussolini era più preoccupato di un’irreggimentazione che evitasse dissensi plateali che non da una penetrazione in profondità nella cultura diffusa. E rispetto agli equilibri che caratterizzarono le varie aree del Paese serbò una certa distanza, una sua autonoma volontà di manovra. Le cosiddette leggi fascistissime sono il punto d’arrivo di un fenomeno che assunse tratti diversi lungo la penisola.
All’inizio coinvolse soprattutto i ceti medi urbani e i reduci delusi dall’esito delle Grande Guerra. Nell’Italia centrale fu il fascismo agrario a far leva su quelle modalità di sopraffazione e violenza che confluiranno in una militanza “volontaria” in realtà sostenuta pienamente dalle autorità governative. Al sud a farla da padroni furono i notabili vecchio stampo. Per cementare questo insieme di forze tutt’altro che omogeneo essenziale, secondo Corner, furono il richiamo ossessivo ad una psicologia di guerra e l’esaltazione di un nazionalismo da difendere contro i nemici esterni.
Insomma ci fu una vera e propria militarizzazione dalla società. E le leggi fascistissime con l’abolizione, ad esempio, delle autonomie locali, l’istituzione del Tribunale speciale e del Gran Consiglio e una selezione del ceto dirigente determinata per intero dall’alto istituì un regime totalitario verso il quale il consenso – in questo Corner ha preso le distanze dalla visione di De Felice – fu meno convinto ed esteso di quanto si è voluto far credere. Da parte dell’opposizione frantumata e divisa, incerta sul da farsi fin dall’inizio, non si riuscì a concretizzare alcuna azione che arginasse l’avanzata del movimento, di fatto appoggiata dalla monarchia e non osteggiata dalla gerarchia cattolica. La trasformazione in partito unico (PNF) e l’emanazione delle leggi fascistissime segnarono il crollo dello Stato liberale, incapace di rispondere alle sfide emerse dalla tragedia della Grande Guerra.
Roberto Barzanti