Breve incipit: Pericle il Nero è un romanzo italiano del 1993 di Giuseppe Ferrandino –scrittore e sceneggiatore- scoperto però dai francesi dalla vista lunga ed edito infatti in Francia come serie noir: è un successo. Soltanto dopo arrivano Riccardo Scamarcio e Valeria Golino e appropriandosene con la loro casa di produzione ne affideranno la regia a Stefano Mordini, già “Provincia meccanica” e “Acciaio”. Oggi “Pericle il Nero” è l’ unico film italiano presente nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes. E questo è quanto.
“Mi chiamo Pericle e di mestiere spacco il culo alla gente”, eccola, fin dall ‘inizio della pellicola, la voice over -voce fuori campo – di Riccardo Scamarcio: sbagliato definirlo un “camorrista”, Pericle Scalzone detto “il Nero” è “soltanto” un aggiustatore di guai, un sistematore di “sgarri”, un soldato semplice della Camorra per conto del boss Don Luigi– Gigio Morra- detto “il Pizza” perchè ha una catena di pizzerie a Bruxelles . Giubbotto sempre nero, codino e tattoo d’obbligo, il Nero non solo ammazza ma umilia, viola le sue vittime sodomizzandole ferocemente : prima le “ sistema” mettendogli in testa un sacchetto, dopo gli abbassa i pantaloni e conclude il suo lavoro.
Il regista Mordini non ambienta la sua storia a Napoli come nel romanzo, non esistono i vicoli folcloristici di Forcella – i panni bianchi che si allungano da una finestra all’altra per intendersi- non c’è quindi un impianto localistico del romanzo; Mordini realizza infatti una reale trasposizione nella città belga dove però la Camorra esiste da tempo e governa con le sue leggi. E infatti quando Pericle, criminale da poco conto e tossicodipendente, con un errore un po’ forzato e combinato, ma classico per un romanzo (e per un film ) un po’noir , in una sacrestia elimina per sbaglio Signorinella, la sorella di un altro boss della Camorra emigrato in Belgio, è costretto ad abbandonare Bruxelles. Fugge braccato su un furgone e si rifugia a Calais, nella Francia del Nord, luogo per lui di naufragio e sospensione con i suoi traghetti per Dover.
A Calais conosce Anastasia-Marina Fois- mamma di due bimbi, impiegata in una boulangerie con un appartamento che si affaccia sul meraviglioso mare dello stretto di cui si invaghisce ( o di cui si vuole invaghire…) e per il Nero forse si prospetta la possibilità di una esistenza rinnovata e normale.
Ma chi è Pericle il Nero? Cosa mai può avere in comune con il suo omonimo ateniese? Il Pericle democratico, moralmente integro e militarmente superiore nella Atene del 400 a.c.? Mentre il Pericle celebrato da Tucidide esercita il mestiere della Democrazia, il Pericle, di Napoli o di Bruxelles, esercita soltanto il mestiere dell’ oppressione e della soppressione fisica degli altri e appare da subito come personaggio non soltanto solitario ma anche solo e ai margini: un ripudiato, un rifiuto della società, . uno che si è legittimato soltanto dentro un mondo animale diventando animale egli stesso in nome di principi spietati e disumani. Un mondo che da bambino lo ha sodomizzato e per farlo riscattare, all’interno di quello stesso scenario selvaggio, lo ha poi costretto a sodomizzare per campare. Un uomo-bambino orfano, spaventosamente triste e abbandonato a se stesso, uno sguardo rigido, un fisico che sembra bloccato davanti la macchina da presa e che nella prima parte sembra anche incapace di provare e farci provare emozioni….
Con un lavoro accuratissimo di caratterizzazione estetica curata da Scamarcio, che si è prestato molto generosamente ad un involucro animalesco con grande generosità di attore – in particolare ci ha colpito la sua abilità nel sapere utilizzare un accento diverso dal proprio e una lingua diversa dalla propria, il francese – Pericle, capelli sporchi e acconciature alla giapponese, appare ingabbiato dalla sua squallida esistenza (e dal suo lavoro poco retribuito, per arrotondare gira film porno).
La fuga, la donna “normale”, il sesso “normale” è anche una prerogativa per lui di ri-partenza. Esterna poco, quasi nulla, e infatti fin dall’inizio della trama la regia di Mordini punta principalmente sul suo aspetto tetro in un ambiente nero e angosciante, salta gli snodi che potrebbero risultare troppo ovvi e si concentra sul suo attore, sul suo corpo in fuga, sul suo sguardo apparentemente vuoto ma bisognoso urgentemente d’amore. Senza dubbio è Scamarcio ad impersonare l’intero film, è il suo magnetismo che lo rende il classico fil rouge tra gli altri “piccoli” personaggi che ci appaiono, compresa Anastasia, figura comunque importante che fungerà da solida arma per scavare una via d’uscita verso la normalità. Ed infatti , nella seconda parte della sua opera, Mordini ha l’acutezza di trasformare un simil-noir italiano in un film d’amore , soprattutto sulla voglia e sulla capacità di amare di un reietto: tutto si trasforma, la trama si focalizza sul bisogno di calore da parte di Pericle, il film non ha più nulla del “poliziesco”, non ha più i colori e le carrellate notturne di una Francia di periferia (non siamo sugli Champs-Elyseés…) dove il cemento è compagno della spiaggia, ma si sofferma su scene e colori quotidiani di appartamento, vira su una storia d’amore e un’agognata speranza di libertà per il protagonista. E questo è il cuore del film, non gli inizi di bassa criminalità. Nella seconda parte Pericle non è più un soldato animale, viene trasformato dalla regia in un personaggio tradizionale del cinema italiano, un meridionale emigrato che sa parlare bene anche il francese. La figura di Anastasia è un punto di rottura nel percorso intrapreso dal protagonista, invaghito di questa donna normale, più per riscattare il suo passato, più per disperazione , che non per un innamoramento passionale come in un bellissimo piano-sequenza che racchiude gli intimi dialoghi tra i due, distesi sul letto.
Un film ben sceneggiato che indaga il tema della solitudine e della vita ai margini di un atipico soldato di Camorra, non quello della criminalità come si potrebbe inizialmente pensare. Anche perché, come affermato dal regista, “Pericle non è altro che un orfano in cerca di un posto dove stare”.
È quindi difficile inquadrare questo film in un unico genere, non solo noir, non solo storia d’amore, nemmeno un film drammatico ma una commistione di tutti con colori tenebrosi che inondano lo schermo : cupi, tristi, pesanti come la storia che ci passa davanti. Forse più un film di cronaca che altro. Un intreccio di generi insomma. Quello di Mordini può anche vantare i tratti dei film d’autore italiani , ma utilizza il mondo della Camorra solo come espediente narrativo e non come sfondo sociale. Da andare comunque a vedere, ne vale la pena anche per il deciso salto di qualità di Scamarcio.
Giada Infante
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