Processioni e tempi atei: dalla peste di Marsiglia al Coronavirus, come cambiano gli scenari

Alcuni giorni fa (il 5 marzo) su “La Stampa” è uscita un’intervista a Franco Cardini nella quale lo storico raffronta la reazione dell’uomo del 2020 di fronte al Coronavirus a quella che avevano gli uomini del passato (usando come termine post quem la rivoluzione industriale) verso eventi “innaturali” come carestie e “pestilenze” (nell’accezione più ampia del termine: si chiamavano “pestilenze” anche tutte quelle malattie contagiose come le epidemie di tifo, colera, dissenteria, influenza bronco-polmonare: tutte quelle, insomma,  che all’epoca erano incurabili). E Cardini sembra anticipare il decreto appena uscito con il quale vengono sospese, in via prudenziale, tutte le funzioni religiose, ad ogni livello. Egli afferma, infatti, che gli occidentali, per quanto “abbiamo fatto progredire la conoscenza umana” hanno perso, di pari passo, il “senso del sacro” e prosegue dicendo che “La nostra fede in Dio zoppica. Oggi non faremmo mai una novena affinché Dio ci liberi dall’epidemia. Sarebbero gli stessi medici cattolici ad ammonirci di pregare in casa. L’epidemiologia moderna è un incentivo alla nostra carenza di fede”.

Detto fatto, verrebbe da pensare. No, non è del tutto così. Vi porto nell’estate del 1720, a Marsiglia, dove scoppia l’ultima grande pestilenza (quella vera, la peste nel senso letterale del termine) che la storia d’Europa ricordi. Per tutto ‘800, poi, manco l’ombra di un bacillo.

Insomma, siamo nel 1720 e a Siena giunge notizia che a Marsiglia l’epidemia sta facendo un numero impressionante di vittime. I commerci tra Siena e la Francia sono attivi da epoche ben più remote, il rischio può venire facilmente da di là del mare, anche perché ancora non era noto il batterio portatore del male, niente si sapeva del modo di trasmissione e, men che meno, esisteva una cura.

Giovanni Antonio Pecci, nel suo “Giornale Sanese”, racconta che il 15 settembre 1720 “per implorare da Dio la sanità nelle coste marine della Francia, e particolarmente nella città di Marsiglia, fu dal sommo pontefice conceduta indulgenza plenaria” e contemporaneamente, lo stesso 15 settembre, nella nostra città venne effettuata una processione, per dare conoscenza della decisione pontificia dalla “Metropolitana alla Collegiata di Provenzano” alla quale prese parte tutto il clero.

Certo, oggi è stato più facile, ogni appartenente ad una parrocchia ha ricevuto un “uozzappino”, oppure ogni credente ha aperto “faccialibro”, ed ha trovato l’informativa del proprio Arcivescovo sulla sospensione delle funzioni.

Ma torniamo nel 1720, a novembre la pestilenza a Marsiglia era ancora attiva, e a Siena, ci racconta ancora Pecci, “fu fatta dal duomo a Provenzano la processione” che terminò in Collegiata con la benedizione arcivescovile al popolo, affinchè il morbo non attaccasse la nostra città.

E così è sempre stato in caso di carestie, o di episodi calamitosi: spesso si portavano in processione la Madonna del Voto o la Madonna di Provenzano, oppure le Sante reliquie. L’8 gennaio 1760, per impetrare la fine della carestia dovuta alle piogge incessanti che avevano impedito di completare le semine vengono esposte in Provenzano le reliquie del velo della Madonna e del manto di San Giuseppe, donate da papa Alessandro VII.

Oppure il 9 febbraio 1716, pochi anni prima della peste di Marsiglia, data l’invasione di grilli e locuste avvenuta a Siena e fino alla Maremma senese, non servendo i rimedi naturali per “spergerle o dissiparle”, l’arcivescovo per cercare di salvare i raccolti, ottenuto l’indulto dal sommo pontefice “benedisse primieramente la città, case e abitatori, e assolvé dalle censure tutti coloro che, tanto né tempi correnti che negl’antichi, fussero incorsi e esiguì detta funzione nella platea avanti le porte della chiesa Metropolitana, dipoi da sera, accompagnato processionalmente dal clero regolare e secolare, si portò alla chiesa di S. Domenico dove, dopo recitate alquante orazioni, nel prato avanti a detta chiesa benedì prima le campagne e maledì in seguito i grilli”.

Bene, direte voi (di esempi ne potrei fare decine), allora ha ragione Franco Cardini quando continua, nella sua intervista, dicendo “Abbiamo tagliato le radici che ci tenevano in contatto con la dimensione trascendente. La vera grande epidemia attuale è la nostra selvaggia e disperata paura”.

Potremmo aprire un dibattito infinito. Ma, di fatto, già il 1° agosto di quel famigerato 1720 a Siena, i quattro deputati della Balia sopra la sanità, proprio a seguito della peste di Marsiglia,  pubblicano un bando con il quale impediscono ai mercanti senesi ogni commercio con le navi francesi e minacciano pene severissime ai trasgressori. Nei giorni successivi, il Governo di Siena, come era usuale fare in questi casi, impone la presenza di guardie alle porte della città per evitare qualsiasi possibile forma di contagio, mentre contingenti di soldati vengono messi a controllare le vie che portano verso gli scali marittimi dai quali arrivavano in città le merci provenienti dalla Francia.

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Dunque, sì il ricorso al sacro ma, proprio come è stato fatto nella situazione che ci sta colpendo da vicino, le autorità ecclesiastiche agiscono di concerto e, di conseguenza, a quanto disposto dalle autorità civili a salvaguardia dei cittadini.

E non è un caso che, quando questo non avvenne, il contagio si diffuse colpendo, in modo drastico la popolazione: nel 1630, durante la peste a Milano (sì, anche questa era peste-peste, quella del Manzoni per intenderci), i I magistrati chiedono al cardinal Borromeo di indire una processione solenne per portare il corpo di San Carlo per le vie della città per allontanare la pestilenza. Federigo Borromeo inizialmente si rifiuta, temendo proprio che far riunire tante persone in processione avrebbe aumentato i rischi di contagio (e poi tra la folla potevano esserci gli “untori”: ma questa è un’altra storia). Come che sia la processione viene fatta e, dai giorni successivi i malati si moltiplicano a dismisura (perché, in ogni epidemia, evitare gli assembramenti è la prima forma di difesa).

Ah, come andò a finire nel 1720 da dove abbiamo iniziato? A Siena la peste non fu devastante, vuoi per le misure precauzionali, vuoi per l’intercessione divina.

Oggi speriamo altrettanto, tuttavia, una “giratina” alla Madonna di Provenzano, a quella del Voto, a Santa Caterina o al braccio benedicente di San Giovanni (solo per citarne alcune) io gliela farei fare. Stando, i fedeli, ad un metro e passa di distanza l’uno dall’altro. Logicamente.

Maura Martellucci