Trasposizione nell’ospedale psichiatrico di Aversa, 1982. Ma resta l’analisi cruda, cinica, spietata delle condizioni dei soggetti psichiatrici. E si impone una forza espressiva che lascia il segno, soprattutto oggi quando si rimette in discussione la questione proprio per la coincidenza della recente chiusura definitiva dei famigerati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Gassman non è nuovo a portare in scena temi di denuncia sociale, e ora ancor di più con questo nuovo spettacolo “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, considerando i temi forti che contiene come quelli della malattia, della diversità, della coercizione, della privazione della libertà.
Grande successo per “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, regia di Alessandro Gassman, in scena al teatro dei Rinnovati nei giorni scorsi. Andrea Friscelli, psichiatra senese, cosa ne pensa?
“Sono andato vedere lo spettacolo molto dubbioso sulla possibilità che la riduzione teatrale potesse avvicinarsi a quello che è, tutt’ora, un cult movie, caratterizzato da interpretazioni eccezionali, prima su tutte quella di Jack Nicholson e da una musica altrettanto bella. In realtà sono stato piacevolmente sorpreso sia dalla scenografia che dalla interpretazione collettiva degli attori che sono riusciti a riportare l’atmosfera del film che anche se giocata su un registro quasi comico, poi diventa commovente e in grado di far riflettere e di farci parteggiare per i malati. Bravi veramente tutti, lo si è visto anche dagli applausi che non finivano più”.
Lei è uno psichiatra che ha lavorato a Siena e ricorda bene metodi e lavoro… quanto di vero le ha ricordato lo spettacolo? Quanto, invece, è eccessivo?
“Io ho cominciato a lavorare al Santa Maria della Scala nella divisione di Psichiatria nel 1975 ed uno dei momenti, per noi, qualificanti del nostro metodo di lavoro era la riunione con i malati. Si svolgeva una volta o due alla settimana e cercava di far emergere le problematiche collettive della gestione del reparto (c’erano trenta posti letto) ed a volte quelli più personali di qualche paziente. La riunione quindi che si vede nello spettacolo era una prassi quotidiana di lavoro sullo schema della comunità terapeutica di Maxwell Jones, lo psichiatra inglese che fin dagli anni Cinquanta aveva rilanciato quel metodo. Forse non sta a me dirlo, in quanto partecipante a quelle riunioni e quindi troppo implicato per essere oggettivo, ma una personalità patologica come quella della suora non si è mai aggirata nelle nostre stanze. Era più frequente il disinteresse, la non partecipazione da parte del personale che dimostrava così di non credere in quel metodo, ma una violenza così evidente anche se sottilmente mascherata da democrazia non l’ho mai, per fortuna incontrata. Comunque questa è la dimostrazione più evidente che ogni strumento terapeutico, se male interpretato, può trasformarsi nel suo opposto”.
A rivedere con gli occhi di oggi quelle che negli anni settanta erano considerate ‘malattie mentali’, viene da pensare a quanti ‘matti’ ci siano in giro, no?
“Questa non è una domanda a cui rispondere con tre parole. Mi pare comunque di poter dire che oggi ci troviamo di fronte non più a patologie evidenti e clamorose ma ad un disagio molto più diffuso e nascosto che poi esplode all’improvviso con le tragedie che vediamo ogni giorno. Ed ogni giorno sentiamo la litania delle interviste dei vicini o dei parenti che dicono “a noi sembrava una persona così normale, mai avremmo pensato che facesse una simile strage”. Da un lato patologie più nascoste, ma soprattutto una società sempre meno portata a leggere il disagio di chi è magari più vicino, una società dove serpeggia sempre di più un odio incontenibile e scarseggia sempre di più l’empatia o, se vogliamo usare parole forse più semplici, la semplice pietà e comprensione”.
Lo spettacolo riporta la scena in Italia nel 1982, all’indomani della legge Basaglia eppure i trattamenti dei pazienti sono gli stessi. Brevemente: cosa rimane di buono e di non buono della legge?
“Su questo non sono del tutto d’accordo. Nello spettacolo si vede praticare l’elettroshock che oggi è pratica ormai residuale se non del tutto scomparsa. Qualcuno mi potrà dire che l’uso massivo dei farmaci si è sostituito a quella pratica ed è probabilmente vero. Come è vero però che ci sono varie situazioni in cui si comincia a intravedere una psichiatria più umana basata su una reale collaborazione tra curanti e pazienti all’insegna, per esempio, della pratica del mutuo auto aiuto e comunque di atteggiamenti, come dire, non violenti. Segnalo due cose a tal proposito: una proposta di legge (la 2233) che è in fase di avanzato cammino in Parlamento e che finalmente non si propone come mille altre di riaprire i manicomi, ma di andare nel senso che accennavo prima. La seconda, forse un po’ lontana da noi, ma comunque molto interessante che si sta attuando in Finlandia e che si basa sulla abolizione di momenti coercitivi per i malati gravi che vengono invece accompagnati in modo diverso nei momenti di crisi, senza mai privarli della loro libertà”.
Katiuscia Vaselli