Le contrade non sono sempre state quelle attuali, questo è noto. Prima che si fissassero i loro nomi e si codificasse (1730) il loro numero, ci sono almeno due secoli (ma forse anche tre) nei quali altre contrade sono esistite o hanno cercato di esistere. Lo Zoccolo (dalla quale sono nate poi il Bruco e la Lupa, ma più probabilmente la sola Lupa), per citarne una, è attestata fin dalla descrizione della Caccia in Piazza del Campo del 1506 (anche se una traccia c’è già nel Quattrocento). Ma se questa è storia ormai conosciuta, meno (o per niente) note sono le vicende di altri gruppi riportati alla luce soprattutto grazie alle ricerche di Giovanni Mazzini e di Enzo Mecacci: contrade che si chiamavano con i nomi delle strade in cui si erano formate (del Pignattello, del Giglio) o con denominazioni – secondo l’uso corrente – zoomorfe (della Farfalla, del Topo), o che assumevano nomi bizzarri come la contrada della Stringa, il cui micro territorio si posizionava fra le attuali Aquila e Onda.
Nessuno cerchi i loro colori, sia ben chiaro; né si chieda quali Palii abbiano vinto. Nessuno. Non corsero alcun Palio: né alla tonda né alla lunga e nemmeno alla sghemba. Erano aggregazioni ludiche che si univano a contrade più grosse e, con esse, partecipavano alle cacce, ai cortei e alle altre feste che caratterizzavano il panorama degli spettacoli senesi. Di esse, ad esempio, faceva parte anche la Civetta che, esattamente come la contrada del Giglio, si aggregava alla Giraffa. La Civetta, poi, si staccò, poi ritornò, infine prese una sua configurazione autonoma, ma altre finirono per essere annullate dalla super-contrada con la quale si consociavano (a proposito: vi siete chiesti perché l’Onda si chiama Capitana? Vi hanno – anche a voi – raccontato quella scemenza degli ondaioli che difendevano Talamone? o altre stupidaggini del genere? Cercate in queste pieghe di storia paliesca e la risposta ce la trovate).
La loro non è nemmeno la storia della Spadaforte, aggregazione bella robusta che, però, trovò sul suo cammino la Torre che se la “mangiò”. E nemmeno quella della Quercia (unica associazione ludica extra-moenia attestata, ma – attenzione – un’antica dimensione “fuori porta” della storia delle contrade si ritrova anche in altri casi) che cercò una sua identità autonoma dopo il Bando di Violante e le fu risposto che ciò non era possibile e che, se i suoi uomini volevano entrare in Piazza, continuassero a farlo dietro l’insegna della Chiocciola, come avevano fin lì era stato. La loro (delle contrade fantasma) è una storia “abortita” che offre però due elementi importanti di riflessione: l’estrema articolazione delle origini delle contrade; la definitiva mandata in archivio della presunta derivazione di esse dalle compagnie militari (cosa, del resto che avevano già capito gli storici del Palio di fine Ottocento-inizio Novecento) che continua a rimbalzare nello sciocchezzaio che si racconta e si legge sulla nostra festa.
Incuriositi? Volete dettagli? E io che l’avrei scritto a fare un libro dal titolo “Il Palio di Siena. Una festa italiana” edito da Laterza? Andate fiduciosi al capitolo 2 e la vostra curiosità sarà appagata. Se poi leggete anche il resto del libro non mi offendo.
Duccio Balestracci
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