Certo che i nostri avi dovevano avere un sacco di problemi a pronunciare o scrivere parole che a loro risultavano ostiche. L’erudito senese Bartolomeo Benvoglienti alla fine del secolo XV non aveva dubbi nel motivare la derivazione etimologica di toponimi di questo genere: “… il vulgo non sapendo accomodare il vocabolo alla sua origine, attese a seguire il nome più vicino”. Sull’origine di Samoreci, infatti, non ci sono discussioni, essendo tutti d’accordo che derivi dalla chiesa di San Maurizio, posta sul lato destro della salitella che si stacca a sinistra di Pantaneto all’altezza di Cane e Gatto, in fondo alla quale nel 1931 fu apposta la targa a ricordo dello storico nome. San Maurizio dovette sembrare spesso impronunciabile se negli stessi documenti “ufficiali” lo troviamo corrotto in “Santo Moregi”, “Santo Moreci”, “Santo Morezzi”, “Santo Mauricio” e quanto altro, fino a giungere alla forma corrente “Samoregi”.
Nella sua stessa prima menzione, avvenuta in un documento dell’aprile 1064, la chiesa è chiamata subito “Sant’Amorici”, testimoniando un processo di volgarizzazione già esistente operato sulla sua intitolazione. Sede di una parrocchia e di una compagnia urbana per tutto il Medioevo, fu sconsacrata nel 1785, venduta a tal Regoli bottaio e ridotta a magazzino, con l’antico titolo parrocchiale trasferito alla vicina Santo Spirito. Della chiesa di San Maurizio oggi resta ben visibile solo la facciata con il portale tamponato e il rosone, mentre la zona cimiteriale, ridotta a cortile interno, è destinata ad abitazioni.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti