Molto spesso, quando si parla dell’ospedale di Santa Maria della Scala, lo si descrive come “una città dentro la città”, definizione che, ben lungi dall’essere un mero luogo comune, ha motivazioni storiche profonde. Perché il Santa Maria non è un semplice ospedale costruito sulla base di un progetto unitario, ma è il secolare frutto di continue aggiunte e ampliamenti, proprio come una città. E sembra tale anche perché al suo interno contiene organismi e luoghi tipici di una struttura urbana, quali una strada, dei chiassi, una chiesa, alcuni punti di approvvigionamento idrico, dei forni, un granaio, un macello, varie stalle e cellieri in quantità.
Insomma tale fortunata definizione significa, essenzialmente, che il Santa Maria della Scala rientra a pieno titolo in quei numerosi casi di ospedale medioevale che si presentavano come un prolungamento coperto di uno spazio urbano aperto, sia per assetto tipologico che funzionale. Come quello di Gand in Belgio, di Lubecca in Germania o di Santo Spirito a Roma. Dietro la facciata lineare che prospetta sulla piazza, infatti, l’ospedale di Siena è un complicatissimo e fittissimo agglomerato di corpi edilizi di varia natura, case, percorsi, connesso da varie strutture di raccordo e disposto su più livelli che degradano dal livello di piazza del Duomo fino a quello di piazzetta della Selva, modellandosi sullo scoscendimento della collina, il cui principale elemento unificatore è la cosiddetta “strada interna”, che snodandosi tra i livelli del complesso ospedaliero, ne costituisce l’asse portante attorno al quale si è accresciuto nei secoli e si sono distribuite le sue molteplici funzioni.
Nel Medioevo questa era una vera e propria via pubblica a cielo aperto ed esterna all’istituto ospedaliero, che collegava il rione di Vallepiatta con piazza del Duomo, sfociando a lato dell’attuale palazzo Squarcialupi; un altro segmento, invece, proseguiva verso piazza Postierla, andandosi a saldare con il vicolo del Verchione, che dunque all’epoca non era senza sfondo. Più tardi fu appellata come “chiasso di Sant’Ansano”, benché, ad onor del vero, nessun documento medievale la denomini esplicitamente in questo modo, limitandosi a definirla “chiassus”.
La strada doveva ricalcare, almeno approssimativamente, un antichissimo percorso che sin dall’età etrusco-romana risaliva da valle alla sommità del poggio con una serie di tornanti e terrazzamenti, utili per addolcire il notevole dislivello esistente, lungo il quale sorgevano numerosi edifici, i cui resti sono stati ritrovati all’interno dell’edificio ospedaliero. Al di sotto di esso doveva scorrere prima la cinta muraria romana e più tardi quella di età medievale.
Il processo di inglobamento del chiasso all’interno dell’ospedale prese avvio tra la fine del XIII e i primi del XIV secolo, quando quest’ultimo fu notevolmente ampliato per ospitare le crescenti funzioni che ormai espletava. E siccome ciò non poteva avvenire sul fronte, si cominciò ad accrescerlo sul versante collinare che declina verso il fosso di Sant’Ansano, ossia sul lato retrostante del complesso ospedaliero.
Così le nuove strutture dell’ente cominciarono ad assorbire la via, scavalcandola e coprendola con ponti e volte; essa perse progressivamente la sua funzione pubblica, trasformandosi in un percorso interno all’istituto, per secoli assai funzionale alle sue variegate esigenze. Il primo tratto del chiasso è riconoscibile nell’ingresso dell’ospedale dal lato di piazzetta della Selva; da qui penetra nel cuore del Santa Maria e risale per due livelli fino ad una corte trecentesca. Uno straordinario contesto riportato alla luce e valorizzato grazie ai restauri degli ultimi anni.
Solo il primo centinaio di metri della “strada interna”, infatti, ha messo in evidenza la bellezza di 36 portali pertinenti ad almeno una quindicina di diversi corpi di fabbrica che si affacciavano su di essa, risalenti al periodo compreso tra la fine del Duecento e il primo scorcio del Quattrocento.
La pavimentazione è quella tipica delle vie urbane, così come numerose e ancora visibili sono le buche pontaie e le campanelle in ferro per legare gli animali presenti sulle pareti tra una porta e l’altra.
Sembra davvero di percorrere una qualunque via medievale di Siena, se non fosse per le poderose ed altissime volte che la coprono, le quali all’inizio, insieme alle pareti laterali, ebbero una funzione strutturale ma poi, una volta chiuse, sono state usate per creare locali di vario genere. Oggi è quasi impossibile attribuire agli ambienti che si aprono dietro questi portali la destinazione avuta nei secoli, non di rado modificatasi nel tempo.
Di certo lungo di essa si trovavano, partendo da piazzetta della Selva: la sede della compagnia laicale di San Girolamo e Francesco, il granaio, il “guardarobba” degli assistiti, i locali occupati dalla confraternita dei Disciplinati di Maria Santissima, l’orto e il “celliere grande”, dove si riponevano le scorte di vino, aceto e acquerello dell’ospedale.
Nell’ultimo tratto della strada, invece, si affacciavano la legnaia, la bottega del fabbro, una stalla, un piccolo celliere, il fienile, il pozzo (ancora esistente), il macello e il pollaio. Come accennato, la via termina all’interno di una corte quadrangolare dotata di cisterna, che fino al XV secolo era ancora a cielo aperto e che oggi è comunemente detta “la corticella”.
Essa era poi collegata direttamente ad un passo carraio, che scendeva dal livello di piazza del Duomo, usato sin dalla seconda metà del Duecento come collegamento tra questa e i sottostanti ambienti di servizio.
Insomma dopo queste poche righe non possiamo avere più dubbi: il Santa Maria della Scala è davvero una città dentro la città!
Maura Martellucci
Roberto Cresti
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