SALVARE LA MEMORIA STORICA DELL’UNICO PANOPTICON BENTHAMIANO ANCORA ESISTENTE IN ITALIA (L’EDIFICIO DEL REPARTO CONOLLY NELL’EX OSPEDALE PSICHIATRICO DI SAN NICCOLÒ, A SIENA): SIENANEWS SOSTIENE LA CAUSA E FA CONOSCERE AI PROPRI LETTORI LA STORIA E LE OMBRE DI UN PEZZO DI STORIA DELLA CITTÀ
Abbiamo iniziato a ripercorrere la storia del Conolly la scorsa settimana. In questo pezzo vorrei provare a sciogliere alcune curiose e malefiche saldature che si sono nel tempo create tra la pratica consueta all’interno del padiglione Conolly e la pratica del medico (John Conolly, nella foto sopra) che ebbe poi il contradditorio destino di dare il suo nome a quell’edificio.
In quel quartiere (questo in realtà il nome che ancora si può intravedere scritto sulla parete ormai tristemente trasandata dell’edificio) avveniva il massimo della costrizione nei confronti dei malati più difficili. Si raccontano mille aneddoti su questo e chi volesse saperne di più dovrebbe leggere il bellissimo libro “Noi c’eravamo” scritto qualche anno fa da Gino Civitelli e Flores Ticci, entrambi ex dipendenti dell’Ospedale Psichiatrico. Anche io per stendere queste brevi righe mi sono ispirato a quella lettura.
Per la verità il dr. Conolly aveva idee differenti e soprattutto una pratica di assistenza e cura del tutto diversa da quella che poi invalse nel “suo” padiglione. Cerco di farlo conoscere meglio cominciando intanto dal suo cognome. Forse non ce n’è un altro che venga storpiato di più (tranne il mio) in questa terra di Siena. Quasi sempre gli viene affibbiata una enne in più e così diventa Connòlli, poi viene spesso sbagliata l’accentazione che cade sulla prima o e non sulla seconda. Si dice anche che qualche malato che spesso frequentava quel quartiere lo chiamasse Colonnino, descrivendo così, con quel pizzico di genialità che solo i folli riescono ad avere, la durezza dell’ambiente.
Queste storpiature, per la verità, trovano qualche ragione e radice nella multiforme grafia che anche in patria ha questo cognome. In Irlanda infatti esiste una sorta di famiglia di cognomi che fanno riferimento tutti ad una voce gaelica che significa discendente di Conghalac, (il valoroso). La forma più frequente è quella con la doppia enne (Connolly), a volte si trova quella con una e al posto della o (Connelly). Non so se proprio da questo dipenda la senesizzazione del cognome di John Conolly, certo è che, se lo vogliamo salvare, dovremo per lo meno abituarci a pronunciarlo in modo corretto. Pur provenendo da famiglia irlandese, tutta la vita di John si è svolta prevalentemente nelle vicinanze della costa orientale dell’Inghilterra. Nasce, infatti, nel 1794 a Market Rasen, nel Lincoln shire. Si trasferisce più a nord, a Edimburgo, per studiare Medicina dove, nel 1821, si laurea a ventisette anni. La sua carriera decolla quando prima è nominato professore di Medicina all’University College di Londra e poi ottiene l’incarico a primario medico nel manicomio di Hanwell, un sobborgo di Londra. Il suo interesse per la Psichiatria era in realtà emerso fin dagli esordi, tanto che il titolo della sua tesi di laurea era stato: “De statu mentis in insania et melanchonia”. A quei tempi però alla Psichiatria non era ancora riconosciuto il rango di materia fondamentale nel curriculum degli studi medici e si può pensare che John Conolly abbia dovuto attendere prima di seguire in pieno i suoi interessi.
Quando però può finalmente dare pieno corso alle sue passioni nell’ospedale di Hanwell, subito elabora e mette in atto il suo metodo di cura “no restraint”, cioè un trattamento la cui caratteristica fondamentale era l’assenza completa di ogni metodo di contenzione fisica. I risultati del lavoro di quegli anni sono raccolti nel libro dal titolo: “The treatment of the insane without mechanical restraints” edito nel 1856, volume che conserva ancor oggi una sua attualità, tanto da essere riedito in italiano da Einaudi nel 1974 con il titolo “Trattamento del malato di mente senza metodi costrittivi”. Sentite qui un paio di pillole del suo metodo di cura “no restraint”. “Reprimere fisicamente i pazienti trattenendoli per i piedi e per le mani, non fa assolutamente parte del nostro sistema; il secondo fraintendimento [a cui mi oppongo. N.d.R.] è quello che, pur non legando il malato di mente per le mani e per i piedi, lo si confini in una stanza isolata”. E poi ancora più chiaramente sostiene che: “La costrizione è simbolo d’abbandono del malato ed è il sostituto delle cure numerose che il suo stato richiede”. Chi come me ha avuto a che fare con la gestione di malati difficili, agitati, maniaci o aggressivi, sa quanto queste parole siano moderne e ancora attuali.
Nel quartiere che porta il suo nome in realtà tutto era costrizione. In alcune celle i letti erano imbullonati al pavimento per impedirne un utilizzo improprio, a tal proposito si dice che un malato una volta smontò i bulloni e, forse per non farsi scoprire, se li ingoiò tutti, finendo naturalmente in Chirurgia. Una cella era materassata fino al soffitto e con il pavimento ricoperto di crine, per ovviare alle eventuali spinte di auto nocumento. Spesso i pazienti soggiornavano legati al letto per lunghe ore, se non giorni. Le celle erano corredate di buglioli il cui lungo manico sporgeva al di fuori attraverso una piccola apertura nella parete della cella. In tal modo la gestione igienica del paziente avveniva senza neppure dover entrare nella cella. Il quartiere ha subito innumerevoli modifiche e ristrutturazioni nel corso degli anni per adattarsi alle mutate esigenze e quando, per esempio, la sezione femminile fu spostata nel 1927 al Chiarugi, la semiluna di sinistra (destinata in origine alle donne) fu ad un certo punto coperta e dedicata al reparto cosiddetto Criminale. In quella porzione del Conolly, divenuta una vera e propria fossa dei leoni, venivano rinchiusi a volte per settimane, senza mai vedere l’aria, persone ritenute pericolose.
Nelle altre parti invece durante il giorno ai pazienti era permesso di muoversi ma alla sera, per evitare il rischio di “evasioni”, i loro vestiti erano ammassati e chiusi in un unico armadio. Si dice che, negli ultimi anni, venissero riconsegnati uno per uno da un ricoverato che li riconosceva dall’odore.
Spesso il quartiere Conolly veniva usato come una sorta di spauracchio per intimorire i pazienti più recalcitranti, “guarda che ti mando al Conolly!” – veniva minacciato loro. E per qualcuno dei più “duri” il soggiorno all’interno di quella bolgia, magari, capitava davvero.
Si può pertanto capire come stiano male insieme da un lato il coraggioso (anche per cognome, come abbiamo visto) medico inglese che teorizzava il trattamento “no restraint” e dall’altro quello che il quartiere che portava il suo nome diventò nel corso degli anni, una sorta di gattabuia, deposito di ribelli, di incorreggibili o semplicemente di poveri malati.
Credo che John Conolly, se là dove si trova riesce a seguire le umane vicende, ci sta ringraziando per il tentativo di sciogliere il suo nome da questo legame così poco consono al suo lavoro.
Capisco anche, ma qui non è certo il momento di entrare in questioni così complesse, che tutto questo non cancella il problema della gestione a volte molto difficile delle situazioni acute che forse non potranno mai trovare lo strumento miracoloso che le risolva senza spargimento di sangue, sia pure detto in senso metaforico.28
A tal proposito però vorrei terminare con una citazione di Eugenio Borgna, psichiatra, autore di tanti libri che male si inquadrano in una unica corrente di pensiero, ma che sono sempre dotati di saggezza e grande umanità. Sono parole che, nella loro umile saggezza, tipica di questo autore, vorrei aver scritto io, tanto sento di poterle sottoscrivere.
“Proprio perché conosciamo la debolezza intrinseca di ogni farmacoterapia assolutizzata e di ogni psicoterapia trionfalistica, non abdichiamo mai alla nostra umana solidarietà e alla nostra disponibilità ad ascoltare e comprendere”.
Andrea Friscelli
Il Padiglione Conolly è inserito ne “I luoghi del cuore FAI” per il 2016. Ogni firma è preziosa ed è possibile farlo on-line collegandosi al sito http://iluoghidelcuore.it/luoghi/87949, oppure recandosi in una delle molte attività commerciali che a Siena aderiscono all’iniziativa.