La dolce serenata “Son le undici di notte” potrebbe essere letta anche come l’espressione di un amore ossessivo e pericoloso
Le serenate non sono mai “serene”. O almeno, molte di esse, dedicate ad amori impossibili od ostacolati, non lo possono essere. “Son l’undici di notte” non è un’eccezione, anzi, potremmo quasi dire, osando, che sarebbe da inserire in una categoria a parte, quella degli amori molesti. Sì, perché nel canto c’è uno strano crescendo di intensità delle esigenze dell’innamorato. Dopo aver “destato” l’amata, le fa ascoltare tutte le sue paturnie e l’accusa di non farlo dormire. Poi indica nel “grande amore” l’origine della sua sensazione di morte. Infine l’innamorato, dimostrando una sospetta mania di persecuzione, si scaglia a parole contro il destino e la sorte. Il canto si conclude con un doppio giuramento, all’amata e al cielo: un giorno lei sarà sua. Categorico e imperativo. Che il protagonista sia un molestatore in erba? A parte gli scherzi, visto che queste possono essere cose assai serie, questo canto rappresenta bene l’idea, molto presente in passato, dell’amore come possessione e ossessione (due parole che, fra l’altro, sono accostabili a “sesso”). Una curiosità da segnalare di “Son l’undici di notte” è l’orario in cui accadono i fatti. Per noi contemporanei le 23 non sono di certo notte, anzi, per un giovane di oggi quello è l’orario in cui parte la serata. I tempi cambiano e le abitudini pure.
L’origine di questa serenata è rintracciabile, secondo Luigi Oliveto, nei monti dove si è combattuto durante la Grande Guerra. C’è, infatti, un canto degli alpini che fa: “Son l’undici di notte, e l’aria oscura:/tutto è silenzio e dormono gli augelli/del cimitero io varco le mura/e guardo intorno a questi muti avelli./Povero Giulio [il nome cambiava di volta in volta], dovrai morire anche tu”. Esiste anche un’altra variante amorosa, ma non sappiamo quale sia nata prima.
Son l’undici di notte, sotto la tua finestra
Il canto mio ti desta, io son vicino a te
Ascolta i miei lamenti, pure gli affetti miei
Più viver non potrei, senza il tuo grande amor
Bella che turbi i miei sogni, e non mi lasci dormire
Oddio mi sento morire, dal troppo e grande amor
O barbaro destino, sorte crudele e ria
Un dì sari la mia, lo giuro innanzi al ciel,
un dì sarai la mia, lo giuro innanzi al ciel!
Emilio Mariotti
(Riferimenti bibliografici / http://www.toscanalibri.it/it/scritti/canti-della-grande-guerra-che-sopravvivono-nei-cori-di-contrada_2129.html)