Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (5 marzo 1922-5 marzo 2022) riportiamo una pagina del saggio di Francesco Ricci “Storie d’amicizia e di scrittura” (primamedia, Siena 2020), dove viene narrato l’inizio dell’amicizia tra l’artista bolognese e Alberto Moravia.
La solitudine, infatti, alla quale Pasolini, specie negli ultimi tempi, guardò peraltro con crescente orrore, non deve far passare in secondo piano l’importanza da lui riconosciuta alle relazioni sociali e umane. L’antitesi, insomma, non è solo la figura retorica fondamentale delle sue opere, ma anche quella che meglio descrive la sua personalità.
Fu Elsa Morante a presentare Pasolini a Moravia. Lei lo aveva conosciuto grazie al pittore Toti Scialoja, il compagno della critica d’arte Gabriella Drudi, che avrebbe sposato nel 1972. Era rimasta incantata da questo giovane trasferitosi da pochi anni dal Friuli a Roma, timido, sicuramente riservato, e ne aveva parlato con Alberto: “Elsa mi parlava molto di questo poeta che a sua volta le parlava delle borgate in cui allora insegnava e dove ebbe in seguito ad ambientare le sue poesie, i suoi romanzi e i suoi film. Deve essere stato verso l’epoca del viaggio in persia o magari anche prima. Comunque, tanto io che Elsa diventammo suoi amici”.
Alla metà degli anni Cinquanta, Moravia era ormai uno scrittore di grandissimo successo. Si era farro conoscere sulla scena letteraria, non ancora ventenne, con “Gli indifferenti”, un romanzo molto apprezzato anche da Borgese e Bontempelli. Nel 1945 aveva pubblicato per i tipi di Bompiani “Agostino”, accompagnandolo con due litografie dell’amico Renato Guttuso, nel 1947 “La romana”, nel 1948 “La disubbidienza”, nel 1949 “L’amore coniugale”, nel 1951 “Il conformista” (dove tornava sull’uccisione in Francia di Carlo e Nello Rosselli, suoi cugini), nel 1954 i “Racconti romani”. Inoltre, nel 1953 aveva fondato con Alberto Carocci la rivista “Nuovi Argomenti” – a finanziarla era stato Adriano Olivetti, la redazione aveva sede in via dei Due Macelli 47 – ispirata a “Temps Modernes” di Sartre, sulla quale avrebbero scritto Sergio Solmi, Elio Vittorini, Italo Calvino, Eugenio Montale, Franco Fortini, Gyorgy Lukács e moltissimi altri.
Dinanzi alle insistenze della Morante, che in Pasolini ritrovava la sua stessa pietà per la creatura sofferente e la sua strenua fedeltà a un’idea di verità che non ammette compromessi (la verità va urlata), Moravia aveva convinto il suo cofondatore a ospitarvi per la prima volta un contributo in versi, vale a dire il poemetto in terzine “Le ceneri di Gramsci”, sul numero “novembre 1955-febbraio 1956”: nasceva così anche in Italia la poesia civile di sinistra:
“Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l’abbaglia
con cieche schiarite…questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio… Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
tra le vecchie muraglie l’autunnale
maggio. In esso c’è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…”
Katiuscia Vaselli