Non solo il 25 novembre ma partiamo da qui Abbiamo raccolto grazie alla collaborazione con Donna chiama Donna, storie di donne che nel corso degli anni si sono rivolte all’associazione e che hanno avuto il coraggio di dire basta. Per ovvi motivi di privacy e di tutela, le donne protagoniste di queste storie non si firmano con il proprio nome. Anche le foto sono generiche. Ma non è un nome, non è un luogo, non è un volto a fare la differenza. Leggendo queste esperienze di vita, ognuno potrà riconoscerci qualcosa che forse ha vissuto.
Ci siamo conosciuti sui banchi di scuola, era il ragazzo bello e inquieto. Aveva già la moto e fumava, io dormivo ancora con il mio orsacchiotto. Eravamo tutte innamorate di lui, io forse più delle altre. Ci siamo incontrati anni dopo, io con il mio lavoro di bancaria e lui impiegato nell’azienda del padre. Rivederlo era stato come tornare indietro di anni, la stessa emozione, i battiti del cuore che accelerano e la sensazione che il mondo intorno a me prendesse colore. Abbiamo iniziato a frequentaci e dopo poco siamo andati a vivere insieme. E’ nata la nostra bambina e lui ha iniziato a cambiare.
All’inizio erano piccole cose. Mi chiedeva “Come ti sei vestita? Dove sei stata? Con chi stai parlando? Perché hai portato la bambina dai tuoi?” poi mi diceva: «Non ti rendi conto di quanto sei ridicola quando parli? Non dovresti uscire con la tua amica, non ti accorgi che si sta approfittando di te? Non fare questo, non parlare con quelle persone…». Le rare volte che uscivamo con amici non perdeva occasione per sminuirmi, ridicolizzarmi. Cresceva in me la sensazione che ci fosse in lui qualcosa che non andasse. Alcune volte ne parlavo con mia madre ma sembrava che lei non notasse nulla. Alla fine pensavo che fossi io ad essere troppo esigente, in fondo avevo il mio bel caratterino! Solo la mia amica del cuore, una delle poche rimaste, aveva notato il suo comportamento. Mi ripeteva che dovevo fare attenzione, che gli atteggiamenti del mio compagno le sembravano pericolosi, ma io speravo che il tempo e il mio amore avrebbero risolto tutto. In fondo Ale sapeva essere anche dolce, gentile, abile corteggiatore, amante attento. In questi momenti riscoprivo il ragazzo che mi aveva catturata.
Una sera, rientrato dal lavoro, ho notato in lui uno sguardo che mi ha fatto venire i brividi, è durato poco perché la bambina si è messa a piangere, sono corsa a consolarla e lui, senza dire nulla, mi è venuto dietro e mi ha afferrata per i capelli, così, dal niente, senza un motivo. Ho avvertito un dolore incredibile ed ho urlato così forte che la bambina si è zittita di colpo. Non potevo muovermi perché sentivo ancora più male, lo pregavo di lasciarmi, chiedevo perché stava accadendo tutto questo, mi sono messa a piangere.. Non so quanto tempo sia passato, so solo che sentivo la bambina urlare e non potevo fare nulla per abbracciarla. Ad un certo punto la porta si è chiusa, era uscito.
E’ rientrato molte ore dopo, aveva bevuto. Ero rimasta sul divano, con la bambina addormentata tra le braccia ed un grande senso di smarrimento nell’anima. Si è inginocchiato davanti a me, ha pianto, si è scusato, ha detto che non sapeva cosa gli fosse successo , che non sarebbe accaduto mai più, che mi amava così tanto da non poter immaginare la vita senza di me.
Avrei voluto dirgli che sarei andata da mia madre e che non avrebbe rivisto mai più né me né la bambina, che avevo la testa che ancora mi faceva male e tante altre cose, invece nulla. Sono rimasta lì, incredula e spaventata, ma lì, in quello che credevo fosse ancora il mio sogno.
Dopo quella sera sembrava che le cose fossero tornate a posto ma in me qualcosa stava cambiando, ogni tanto tornava prepotentemente un senso di paura che non volevo o sapevo ascoltare fino in fondo. La speranza di poter vivere una vita serena accanto all’uomo che amavo era più forte. Ignoravo invece che nel periodo successivo la mia vita sarebbe stata un inferno. Una sera è rientrato mentre stavo telefonando alla mia amica, mi ha detto di interrompere quello che stava facendo perché dovevo ancora preparare la tavola, e lui aveva fame! Non potrò dimenticare quella voce e quello sguardo. Ho guardato la bambina che giocava sul tappeto, era immobilizzata e mi guardava con occhi spaventati. Ho risposto che dovevo ancora finire ma il colpo alla testa mi ha fatto cadere, ha iniziato a colpirmi su tutto il corpo, i calci mi hanno provocato la rottura delle costole, non riuscivo a respirare, a parlare, non potevo fare nulla. Ho pensato: ” sto morendo!”. Invece non sono morta, non fisicamente almeno. La mia amica era rimasta al telefono, ha sentito i rumori e la bimba che piangeva. E’ arrivata a casa insieme alla polizia. Si è presa cura della bambina ed io sono stata trasportata al pronto soccorso. Lui è stato arrestato. Da quel giorno sono trascorsi anni, ricordo il dolore, la disperazione, i sensi di colpa per non aver protetto mia figlia, per non aver ascoltato le mie sensazioni e colto i segnali che pure erano chiari. Ho iniziato il percorso con il centro antiviolenza, ho ricostruito la mia vita pezzo per pezzo, con dolore, con fatica, con grandi passi avanti e qualcuno indietro. Con la psicologa ho scavato in profondità ed ho iniziato a rimarginare le cicatrici che ancora sanguinano. L’avvocata ha fatto il resto. Sto vedendo la luce di una nuova strada lontana dalla violenza e sono certa che con mia figlia costruirò una vita migliore. Costruiremo una nuova vita, la nostra!
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