Un viaggio magico attraverso le storie di Italo Calvino e dei Fratelli Grimm. È questo “Tracce” che andrà in scena domani sera, mercoledì 17 luglio, a prima a palazzo Chigi Saracini (alle 17) e poi al teatro dei Rozzi (alle 21.15) nell’ambito del il Chigiana international festival & summer academy. Così, la musica dei tanti artisti sul palco trascinerà il pubblico di tutte le età in una nuova dimensione per esplorare un mondo di popoli incantati e oggetti magici.
Le tracce da seguire nel mondo delle fiabe sono tante. La loro comune “aura”, intrisa di meraviglia, ci accompagna in un viaggio lungo il loro seminato, lungo anche una vita. Alle 17, nel salone dei concerti di palazzo Chigi Saracini, Claudia Massari, attrice e regista della compagnia Corps Rompu, assieme all’attrice Marianne Lewandowski, Silvia Belfiore, al pianoforte, Antonio Caggiano, alle percussioni, con le scene di Marco Borgogni e le luci di Danilo Facco ci accompagna in Tracce di fiabe, un viaggio dentro le fiabe di Calvino e dei fratelli Grimm, dove un mondo di storie – con popoli incantati, alberi e fiori magici, chiavi d’oro, anelli incantati – si dischiudono, conducendo per mano il pubblico, dai giovanissimi agli adulti, attraverso un universo di segni e lettere disseminate da raccogliere in mezzo alla via. In questa foresta, dove Maria Claudia Massari ci conduce “come bambini”, la musica dello spettacolo – di Aldo Clementi, John Cage, Marcello Panni e Sylvano Bussotti – delinea una strada ed è anche la chiave: ci guida in mondi antichi, come un lumicino che splende nella notte. Lo spettacolo è realizzato in coproduzione con la compagnia Corps Rompu e in collaborazione con il comune di Sinalunga.
Il tema dell’esilio diventa il filo conduttore nel concerto Exiles, in programma alle 21:15 al Teatro dei Rozzi, in esclusiva al Chigiana International Festival & Summer Academy. “Non c’è dolore più grande della perdita della terra natia”, affermava il drammaturgo greco Euripide già nel V secolo avanti Cristo. Clive Greesmith, violoncello solista, leggenda dell’Accademia Chigiana, dov’è titolare della cattedra di Quartetto d’archi e musica da camera, con il Quartet Integra, proveniente dal giappone (Kyoka Misawa e Rintaro Kikuno violini, Itsuki Yamamoto viola, Ye Un Park violoncello) – che frequenta l’Accademia Chigiana dal 2020 e ha tra l’altro conseguito il Premio Banca Mps – e il soprano Valentina Piovano, attraversa le opere di Ligeti, Kodály e Tavener, esplorando con loro il sentimento della perdita, la complessità della dimensione della memoria, un percorso di ricerca di un senso di identità e appartenenza. Un concerto che invita a riflettere sulla natura e le ragioni delle connessioni più profonde tra le proprie radici culturali, nella terra natia e quelle dell’animo umano, mostrando come l’arte possa trasformare la sofferenza dell’esilio in un’espressione di bellezza e resilienza. Ligeti e Kodály, condividendo l’origine ungherese, sperimentarono però due tipi di esilio differenti: quello forzato di Ligeti, causato delle sue origini ebraiche e quello esplorativo di Kodály all’interno della sua stessa terra. Il britannico Tavener, invece, sperimenta una forma di esilio spirituale, in seguito alla sua conversione alla religione ortodossa russa nel 1977.
Il concerto inizia con la Sonata per violoncello solo di Ligeti, composta tra il 1948 e il 1953. Il primo movimento, Dialogo, dedicato alla violoncellista Anouss Vranyi di cui il compositore era perdutamente innamorato, è pensato come una conversazione tra un uomo e una donna, con un uso distintivo delle corde del violoncello in funzione espressiva. Caratterizzato da melodie originali di Ligeti, di ispirazione popolare ungherese, il movimento è lirico e costruito su due ostinati, senza indicazioni metriche precise, lasciando ampio spazio interpretativo all’esecutore. Il secondo movimento, Capriccio, composto cinque anni dopo per la celebre violoncellista Vera Dénes, si sviluppa su un implacabile 3/8, riflettendo la passione di Ligeti per i Capricci di Paganini. Questo movimento, che sfrutta l’intera estensione sonora del violoncello, richiede un virtuosismo estremo.
Successivamente, ci immergiamo nell’esilio spirituale di John Tavener con le Achmatova Songs. Queste canzoni, adattate dalle poesie della poetessa russa Anna Achmatova, evocano nostalgia e introspezione. Achmatova, pur non essendo stata fisicamente esiliata, fu praticamente bandita dal mondo letterario sovietico. Tavener, influenzato dalla sua conversione all’ortodossia, adattò nel 1992 sei poesie per soprano e violoncello, che enfatizzano il tema dell’esilio e dell’alienazione, centrali nella tradizione poetica russa, e le mette in musica in uno stile che mescola influenze bizantine e orientali, con voce e violoncello che si fondono in un dialogo continuo.
Il duo per violino e violoncello op. 7 di Zoltán Kodály richiama le tradizioni popolari ungheresi. Kodály, insieme a Bartók, esplorò il canto popolare ungherese, contribuendo alla creazione di una moderna musica d’arte nazionale radicata in materiali popolari autentici. Il Duo si articola in tre movimenti con schemi ritmici ricorrenti, riflettendo le qualità ripetitive della musica ungherese. Il terzo movimento adotta una struttura simile a quella della csárdá, una danza popolare che fa seguire, all’apertura su di un motivo di lamento, un ritmo frenetico. L’uso di bordoni, figure ritmiche ripetitive e ornamenti rimandano immediatamente alle sonorità contadine.
Il concerto termina con il Quartetto per archi n. 2 di Ligeti, composto nel 1968, uno dei principali capolavori del secondo Novecento. Quest’opera, articolata in cinque movimenti, è fortemente emblematica dello stile compositivo e delle tecniche strumentali caratteristiche della musica di Ligeti. Il terzo movimento, ad esempio, è uno studio sul movimento meccanico, con parti suonate a distanza di tono o semitono, in un continuum “numerico” e granulare. Ligeti pone particolare attenzione alla micropolifonia e cerca di replicare texture che richiamano le sonorità elettroniche con strumenti acustici. Questo quartetto rappresenta una pietra miliare del suo stile maturo e uno dei più importanti quartetti d’archi della seconda metà del secolo scorso; una riflessione sullo spirito del tempo e le tendenze degli anni Sessanta e Settanta.