Sono tanti i luoghi che hanno fatto la storia. Piazze, strade, vie. Posti che basta solo nominare per evocare ricordi di viaggi, di letture, di sensazioni personali o collettive. A Londra c’è una strada che vuol dire musica: Abbey Road. Qui si trovano gli studi di registrazione più famosi al mondo, resi celebri anche dall’omonimo album dei Beatles. E proprio lì, nelle stanze dove hanno suonato anche Jimi Hendrix e i Pink Floyd – solo per fare due nomi – sono passati i Jaguari, band senese di, come piace dire a loro, “Spaghetti rock and roll”. Lou Leonardi, Marco Pisaneschi e Foggy Biliotti stanno realizzando un album di materiale inedito di prossima uscita. In uno degli studi in dotazione all’Abbey Road Institute, il centro di formazione dei “mitici” Studios, hanno registrato le voci, realizzato il mixaggio e il mastering. Questa grande opportunità, insolita per una band italiana, è stata proposta ai Jaguari dal loro produttore Gianluca Massimo. Fresco di ritorno dalla capitale britannica abbiamo sentito Marco Pisaneschi, batteria e voce principale del gruppo.
Come mai siete andati ad Abbey Road?
«Il nostro produttore Gianluca Massimo, un ragazzo di vicino Treviso, lavora e studia all’Abbey Road Institute. Grazie a questo ha la possibilità di fare produzioni lì. Ci ha proposto la cosa e noi abbiamo ovviamente accettato, perché sono occasioni che capitano una sola volta nella vita».
Quanto ci siete stati?
«Siamo stati lì tre giorni, appena arrivati il venerdì ci siamo messi subito a lavorare. Dovevamo fare un preascolto per realizzare poi mix e mastering. In più dovevamo registrare voci e percussioni. Domenica sera, dopo aver finito il nostro lavoro, abbiamo fatto un mini-live per salutare i ragazzi dell’Istituto. Abbiamo suonato cinque pezzi dei Beatles ovviamente».
Com’è stato entrare dentro a quel cancello che tutti gli appassionati di musica conoscono ma che non hanno mai oltrepassato?
«Io mi sono girato verso gli altri due Jaguari, stavo piangendo. Da lì c’è passato di tutto, c’è stata registrata la storia della musica, da Sgt. Pepper’s… a The Dark Side of the Moon, solo per fare due esempi. E’ stato impressionante anche vedere il livello d’avanguardia tecnologica dei macchinari che ci sono dentro».
Quindi non è fermo ai tempi gloriosi che furono…
«E’ assolutamente aggiornato, c’è della strumentazione che è presente solo lì. Per esempio, scusatemi i termini tecnici, ci sono dei plug-in che sono fatti interamente in quelle stanze».
E’ grande?
«Ci sono lo studio 1, lo studio 2, lo studio 3 e quello dove eravamo noi, parte dell’Abbey Road Institute. E’ una struttura enorme, pensate che nello studio 1 ci registrano le orchestre. Il 2, quello dei Beatles per intenderci, è grande come un palazzetto dello sport. Il complesso è gigante. Te lo vedi dalla strada e ti sembra una casa, ma poi si sviluppa tutto dietro».
Che aria si respira in quelle stanze?
«C’è un alone di magia. E’ un posto unico nel mondo. Ma non siamo andati a giro, avevamo due giorni e mezzo per lavorare, ci siamo concentrati su quello».
Avete lavorato con tecnici inglesi?
«No, è stato fatto tutto con Gianluca. Abbiamo usato microfoni anni ’60 e un mixer storico. Tutta roba introvabile e senza prezzo. Speriamo si senta!».
Questo passaggio londinese che tracce lascerà nella musica dei Jaguari?
«Speriamo che lasci qualcosa di buono. Le nostre influenze musicali sono ben chiare, si passa dal beat inglese al rock & roll americano. Personalmente sono molto “british” e questo dovrebbe trasparire anche nei pezzi che abbiamo fatto».
Quanto vi manca a completare l’album?
«Ora c’è la fase di missaggio in cui si sistemano i suoni dei brani. Poi ci sarà il mastering, dove l’album prenderà “volume”, prima di andare in stampa. I pezzi sono depositati alla Siae già da un mese. Speriamo di uscire a metà giugno. Attualmente siamo sotto con il video del singolo, le cui riprese inizieranno questa domenica».
Avete in mente qualcosa di speciale per festeggiare l’uscita dell’album?
«Ci stiamo pensando su, per ora non c’è niente di fissato. Potrebbe essere una data zero o altro. Visto che stiamo ultimando l’album ci possiamo ragionare sopra».
Emilio Mariotti