Via di Calzoleria unisce piazza Tolomei con Banchi di Sotto.
Il suo nome richiama immediatamente l’attività commerciale che si svolgeva in questa strada in epoca medievale.
Scrive Duccio Balestracci che attività come quella dei cuoiai e dei calzolai, non sono, in città, ben viste. O, almeno, ben viste in alcune aree centrali. Lontane dalle più importanti fonti cittadine e dalle aree più vicine alla piazza del Campo (oltre che, ovviamente, dalla piazza stessa) tutte le operazioni di scarnificazione e di lavatura delle cuoia (relegate in Fontebranda), tuttavia le operazioni di concia, almeno nel primo Trecento, non sempre sono espulse in periferia, se è vero che si conosce l’esistenza di alcuni calcinai per la concia a due passi da piazza del Campo. Non è casuale, infatti che in un’altra zona-simbolo della città: la piazza di San Cristoforo davanti a palazzo Tolomei, si trovi il vero e proprio cuore della lavorazione delle scarpe che da tale attività deriverà, per la sua strada principale, il nome di Calzoleria.
Ad onta della ben fornita bottega di calzolaio che campisce al centro dell’affresco del lorenzettiano Buongoverno, notoriamente manifesto di tutte le attività ritenute rappresentative della vita della città, tuttavia, l’insofferenza dei senesi per questo tipo di lavori è palese.
Di tale tenore è infatti la petizione presentata (e quel che è più significativo: accolta) alla signoria da alcuni cittadini nel 1315 i quali si dichiarano scandalizzati dal puzzo che cuoiai, borsai, cerbolattai e calzolai, spargono per la città dalla quale devono essere allontanati.
I calzolai e cuoiai non restano intimoriti e polemizzano, in risposta, che la signoria, evidentemente, non capisce nulla di come si crei la ricchezza di una città, altrimenti capirebbero che essa è fatta del lavoro degli artigiani. E pensare, aggiungono, che “in civitate Florentie et aliis bonis civitatibus et terris de Tuscia” dove il lavoro artigianale gode di ben altra considerazione ed è valutato per quello che vale, gli artigiani di questi settori non solo non sono discriminati ma anzi vengono invitati ad esercitare “in earum locis melioribus“.
Eppure dopo poco meno di un secolo e cambiato regime, nel 1399, si torna a prendere provvedimenti contro questi mestieri che sembrano disdicevoli se esercitati nelle zone centrali della città dove, invece, si svolgono le più nobili attività della mercatura e della banca. E così si adottano di nuovo norme restrittive, e altrettali se ne adottano nel 1415 con altrettanto pittoresche motivazioni (“qualunque s’accosta alle loro banche si guasta e’ panni“). E non si contentano i governanti senesi che questa gente si sia spostata un po’ più la rispetto a dove non si voleva che stesse, perché, nel 1422, si apprende, i cuoiai e i calzolai si sono sì allontanati da Piazza del Campo, ma si sono concentrati nella strada che dal battistero va al duomo, ragion per cui “considerato che i due terzi de la città andando a duomo passano per la detta via (…) e perché la loro arte non è honesta in quello luogo” si procede ad espellerli da qualsiasi strada maestra della città così come si provvede, nel contempo, a delimitare con assoluta chiarezza la aree (le più remote rispetto alle abitazioni) nelle quali sarà consentito tenere attività di concia e di trasformazione della pelle. E la diatriba continuerà a lungo anche se, ormai, il nome di Calzoleria, come quello dei Borsellai resterà, comunque, impresso nelle vie limitrofe al Campo fino ai nostri giorni.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti